Toc Toc, Ist die Polizei

Toc toc
Non è nessuno, continua a dormire.
Toc toc
«Ist die Polizei.»
Ah, cazzo, lo sapevo. Nemmeno cinque minuti prima qualcuno aveva suonato il citofono e poi cominciato a parlare di Wohnung (‘abitazione’). «Wohnung questo, bla bla bla, Wohnung quello…» Una mia coinquilina faceva domande su domande e ad ogni risposta dei poliziotti annuiva bassa, insoddisfatta. Lei mi vuole fuori di qui e intendo adesso adesso adesso.

Toc toc
«Yo…»
Mi tolgo la fascia dagli occhi (che qui d’estate fa giorno alle quattro) e due poliziotti con tanto di walkie-talkie, pistole e spray al peperoncino entrano nella mia stanza. Io sono ancora sotto le coperte, li guardo sottosopra oltre la testata del letto.
«Eh, guten Tag…» Gli faccio io in onore dell’assurdo. Mi stropiccio la faccia e continuo in tedescoide. «è la prima volta che vengo svegliato dalla polizia»
«l’affittuaria ci ha chiamato»
«sì, sì…» mi metto in piedi, sono in mutande. «andiamo in cucina.»
Mi siedo al tavolo, ma ho la bocca impastata. Maledetta vodka, ieri l’ho bevuta in tutte le salse… col mate, con la redbull, shottino e adesso non ho più saliva. Mi alzo di nuovo e mi riempio un bicchiere d’acqua.
«Sono uscito ieri sera… ho fatto un po’ tardi.»
I poliziotti annuiscono.
«Allora?» Riesco finalmente a chiedere.
«Sì, l’affittuaria ci ha chiamato, ha detto che lei è aggressivo»
«aggressivo?» No, poliziotti, l’affittuaria (come la chiamate voi, tanto per ricordarmi che non ho un contratto di locazione) non mi ha mai visto aggressivo… si sarebbe accorta della differenza.
«Non l’ho toccata nemmeno con un dito…» Rispondo io.
Bevo un altro sorso d’acqua.
«Vedete… l’affittuaria ha un Disturbo Post-Traumatico da Stress Complesso. Da quando vivo qui l’ho vista farsi ricoverare in ospedale due volte. Prende psicofarmaci, non lavora da due anni… un mese fa era in camera che fissava il muro e piangeva.»
I poliziotti annuiscono, le mani si staccano dai fianchi e le braccia si rilassano.
«oh… sì, vivo anch’io in condivisione» Dice uno dei due.
Anche l’altro poliziotto interviene «ed è così difficile trovare casa a Berlino!»
«ed io la sto cercando, eh, ma… adesso vivo qui, che faccio? non me ne posso andare in ostello perché la… come dite? l’affittuaria ha deciso che mi odia»
Uno dei due poliziotti va dal lei nell’altra stanza. L’altro resta con me, mi chiede da dove vengo, mi dice lui è della Turchia. «Quando ci chiamano… dobbiamo venire» Fa come per scusarsi. Il collega ritorna in cucina, salutano e se ne vanno. Peccato, proprio adesso che stavamo per fare amicizia.

Mi siedo e cerco di capire come siamo arrivati a questo punto. L’affittuaria è una tipa con ovvi problemi relazionali. Ha quarant’anni e pesa quaranta chili ed ha un gatto che si chiama Gatto… sì, Gatto, come se io chiamassi mio figlio Figlio. In realtà ‘gatto’ in tedesco significa anche ‘sbornia’, il che da una connotazione più figa al nome, nonché attinente al mio risveglio, ma giacché lei adesso mi stai irrimediabilmente sulle palle allora odio pure il suo gatto Gatto.

Adesso che ci penso è iniziato tutto per colpa sua. Anni fa un ciccio maldestro lo ha calpestato un paio di volte, così adesso Gatto si acquatta ogni volta che incrocia qualcuno, aspetta fino all’ultimo momento e poi corre via a rintanarsi. Insomma Gatto sta messo peggio della padrona, il che ha dell’incredibile. Se Gatto non avesse bisogno di andare in cucina per bere o mangiare non lo vedrei mai, starebbe tutto il tempo chiuso in camera con la padrona che la riempe di fumo di canna. Uno studio afferma che gli animali domestici adattano il loro stile di vita con quello dei padroni raggiungendo una sorta di simbiosi. Insomma, la follia del quadrupede è un riflesso di quella del bipede.

Le cose, nonostante tutto, sono andate relativamente bene fino ad un paio di settimane fa, quando una discussione sui piatti sporchi è inspiegabilmente degenerata in teorie gender e discriminazioni razziali.
«i piatti sono sporchi, li laviamo?»
«tu sei un maschio cis-gender, mi tratti male perché sono una donna di colore».
Lei non è di colore, voleva dire Curda, ma forse suona più da vittima dirsi di colore. L’avrei fatta nera di schiaffi.

«dobbiamo parlare» Le dico, ma lei non vuole parlare, sempre che questo abbia un residuo di senso. Lei voleva solo che la polizia mi buttasse fuori a randellate. Lei esce di casa e così faccio io. Poco sonno, troppo alcool, troppa agitazione. M’infilo in palestra e in 35 minuti faccio 2 km di corsa, 150 Wall ball e 75 Toes-to-Bar. Allo scadere del tempo mi accascio a terra e disegno il mio profilo col sudore. Sono così cotto che ormai non penso più a nulla… seeee, col piffero, porco il clero, la frigida depressa merita di cadere dalle scale con le mani in tasca.

Esco dalla palestra e prendo uno schwarma in una bettola nei dintorni di Boxhagener platz. L’omino al bancone mi chiede da dove vengo.
«Italien»
«Ah, allora parlo l’italiano…»
Io sgrano gli occhi.
«Io vissuto a Roma, Venedig… oh, Venezia… Paduva»
«Ma dai, anch’io vivevo a Roma! Che facevi?»
«A Venezia, oh, Ca’ D’oro… restaurante di lusso, eh»
«E a Roma?»
«A Roma… Ali Babà»
«Alì B… Quello nel piazzale dei bus? Quello grande?»
«Sì!»
«ma io ci andavo sempre da Ali Babà!»
Lui ride contento e mi offre un bicchiere di tè (nero, con la salvia in infusione.)
«Italia, uh… giù» Stende la mano e la fa scivolare nell’aria. «Germania, soldi, soldì però…» Alza un indice nell’aria, poi prende a contare con le dita «clima, persone, lingua… uhhhh, no bene»
Bevo un altro sorso del suo tè squisito.
«Sono d’accordo, amico mio, sono d’accordo.»

CANZONE DEL GIORNO: Toto Cutugno – L’Italiano