Ulisse

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È dall’inizio della pandemia che non scrivo una riga. Non che non ci siano stati drammi o altra roba succosa da raccontare, ero solo troppo stressato per riuscire a concentrarmi per farlo.
Adesso, seduto in un aereo diretto a Puerto Escondido, con maglietta puzzolente, costume da bagno, infradito e niente mutande, mi sembra di aver trovato il momento migliore per farlo.

Sono arrivato in Messico l’altro ieri dopo 17 ore d’aereo. Ho fatto tappa in Atlanta, ma siamo atterrati in ritardo, così ho saltato educatamente la fila e mi sono messo ad aspettare il mio turno al gabbiotto dell’immigrazione alle spalle di una tizia di colore. Indossava una maglietta bianca con strisce in filigrana d’argento, pantaloni a tre quarti aderenti, sandali, borsa rossa in similpelle ed altra roba di dubbio gusto, tipo moda contraffatta che non ci crede comunque nessuno.
L’ufficiale di frontiera le chiede il motivo della viaggio e lei risponde allegramente che ci è «venuta a fare un giro, hahaha»
«È dove dorme…» continua l’ufficiale «ha un indirizzo?»
«Oh, sto da amici, sì, hahaha»
Io mi metto una mano sulla fronte, ma vorrei darle un scappellotto, magari si sintonizza col mondo reale. Mentre tutti gli altri passeggeri scorrono oltre gli altri gabbiotti, mentre il mio volo è a mezz’ora dalla partenza, l’ufficiale alza la cornetta del telefono e chiama rinforzi.
Quando ormai convinto di aver perso il mio volo, il gabbiotto affianco si apre per miracolo.
«Vola in Messico?»
«Sissignore, tre settimane.»
«Vacanza?»
«Vacanza.»
«Viaggia da solo»
«Con un mio amico, lui è già lì da un paio di settimane.»
«Ah, e quanto tempo sta in Messico?» Oh, penso, è brava questa guardia, si fa ridare la stessa informazione due volte, così controlla che non sto improvvisando le risposte.
«Tre settimane.»
La guardia mi restituisce il passaporto e corro a prendere il treno per cambiare terminal. Ultima chiamata per il volo DL 1932.
Corro con i miei due zaini addosso, la mascherina contro il covid che non fa passare l’ossigeno ed un volo di dieci ore alle spalle che uuuhhhhhhh non ti dico che gioia. Appena mi siedo, suppongo di sudore e col fiatone, il capitano comunica che decolleremo con mezz’ora di ritardo e quasi mi viene da ridere.

Tra le mille cose che potrei raccontare e di cui non fregherebbe comunque a nessuno, c’è ne però una che merita, che poi è il motivo per la quale sono di nuovo in aereo invece che in spiaggia a Tulum. L’amico che mi aspettava a Cancun, Konrad, si è messo d’accordo pure con un altra persona che chiamerò Ulisse.

Ulisse parla a manetta in puro stile tedesco: dice delle cose, poi comincia a ripeterle nervosamente cambiando il modo in cui le dice. Poi le ripete ancora e ancora in un crescendo di agitazione, senza dare l’impressione di volere un risposta. Non capirò mai perché i tedeschi fanno così. Il tedesco è una lingua piuttosto precisa, forse quando usano l’inglese pensano di non poter essere capiti?
Comunque sia, Ulisse, a parte essere noioso come pochi, coglie solo alcune parole delle mie domande e da una risposta in base a quello che crede gli abbia domandato. Devo chiedergli le cose due volte.

Ieri Ulisse ci ha raccontato di questa tipa che si è portato a letto tre anni fa senza preservativo, perché «lei usava la pillola».
La tipa in realtà sperava di restare incinta per essere mantenuta.
«E tu che ne sai?»
«Oh…» Continua Ulisse. «Lei voleva incontrarsi in giorni precisi per via dell’ovulazione e dopo aver fatto sesso si rannicchiava di schiena sul letto con le gambe piegate sulla pancia»
un po’ come faceva la tizia nel film Il grande Lebowski per restare incinta del Drugo (segue fotografia).
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Ulisse continua e dice che le sta pagando gli alimenti da anni e che dovrà farlo fino a quando la bambina (che hanno effettivamente avuto) finirà gli studi.
«Ah, ma quindi siete ancora insieme?»
«Nooo…» mi fa Ulisse «lei vive in un’altra città»
«E non vedi tua figlia?»
«Un paio di volte l’anno. La mamma le ha insegnato a dire ‘Papa scemo’, ‘Papa scemo’»

Io resto basito che nemmeno Stanis di Boris. Konrad mi guarda e fa cenno di sì con la testa.
«Ah, ma te lo ha già raccontato?»
Ulisse gliel’ha raccontato appena si sono conosciuti, in un festival di musica elettronica, dove poi si sono anche messi d’accordo per fare le vacanze insieme.
Ulisse parla per ore dello stesso argomento. Mi dispiace tantissimo per lui e un po’ mi sale anche la rabbia per un sistema che sembra tutelare più le madri. In Germania, per dirne una, una donna che è restata incinta può nascondere la gravidanza al padre naturale e poi, quando la creatura nasce, obbligarlo a fare un test del DNA per poi procedere con la richiesta di alimenti. Se il presunto padre naturale si rende indisponibile per farsi prelevare un campione del DNA, le autorità vanno a prenderlo a suo padre.

Dato che ormai il tema della serata è questo, provo a lasciarmi coinvolgere e propongo ad Ulisse di creare un’organizzazione per sensibilizzare sull’argomento e smuovere le cose. Per esempio, la paternità dovrebbe essere obbligatoriamente controfirmata per legge entro i termini per l’aborto, in modo da mantenere il diritto della madre di portare a termine la gravidanza, dando però la possibilità al padre naturale di dire “io non sono d’accordo, se continui, diventa una tua responsabilità”.
Ulisse, nonostante sia molto coinvolto, non sembra interessato a passare all’azione. Insomma, lui vuole solo sfogarsi. Così passiamo il resto della serata a mangiare tacos e bere birra fino a collassare a letto. Quando prendo sonno Ulisse si sta ancora lamentando della tipa che lo ha inguaiato.

Stamattina, a colazione, Konrad ci dice di un po’ di casini che intanto stanno accadendo nel suo appartamento in condivisione, così cominciamo ad intrattenerci a vicenda con aneddoti sul tema. Ulisse ci ascolta per un po’, poi propone l’aneddoto di una tipa con la quale ha vissuto tempo fa.
«Sono partito per un mese e le ho chiesto tre cose…» Dice lui. «dai l’acqua alle piante, non disturbare i vicini e chiamami se hai bisogno di qualcosa. Quando sono tornato, le piante erano morte, ma fa niente… il problema erano gli allarmi antifumo. Sai, quando gli allarmi antifumo hanno la batteria scarica fanno un BIIIP fortissimo ogni tot di secondi. Questa tipa, invece di cambiare le batterie, li ha messi fuori al balcone! Le ho chiesto, per quanto tempo e oh, risponde lei, da tre settimane… e quel mese faceva un caldo pazzesco, forse 35 gradi, e tutti gli inquilini tenevano le finestre aperte e questi bip bip bip hanno disturbato tutti cioè, dico io, non potevi chiamarmi?!»
L’aneddoto, peraltro una grande storia, sarebbe finito, ma Ulisse lo cavalca per cominciare a parlare di quanto questa tipa fosse una coinquilina terribile. «Quando si è trasferita ha detto che il divano era scomodo, allora le ho proposto di dormire nel mio letto, giusto all’inizio. però poi lei non voleva lasciarmi tornare a dormire nel mio letto…»
«Scusa ma tu le affittavi il divano o una stanza?»
Ulisse, che come ho detto non ascolta davvero le domande, risponde una cosa del tipo «Si, ma il divano non è poi così scomodo.»
Konrad ed io ci scambiamo un’occhiata. Konrad ripete la domanda.
«Affittavi il divano, non una stanza?»
«È un’ottima domanda!» Dico a Konrad ridendo.
«Oh no, le affittavo una stanza!»
«E non c’è l’aveva un letto suo?»
Ulisse non ascolta nemmeno questa domanda. Farfuglia qualcosa poi continua a parlare.
«Una volta mi sono portato questa ragazza a casa e lei, oh, lei faceva un sacco di rumore!»
«perché faceva rumore?» Dico così per coglionarlo un po’, tanto lui non ascolta.
«E la tipa mi dice che le da fastidio che fa rumore così mi dice che quando questa viene glielo devo dire così va a stare dalla sua amica allora quando la ragazza viene di nuovo io glielo dico e lei va via e io la sto scopando sul divano [segue il tradizionale gesto dello scopare con le braccia che remano] e la tipa era andata via da un’ora che adesso sento qualcuno che prova ad aprire la porta di casa allora ci rivestiamo ero un po’ infastidito perché lei mi ha detto ha stava dalla sua ami ma tutto ok ok andiamo in camera mia e però lei torna con un tipo e se lo porta in camera sua io non dico niente però poi vado in bagno e il bagno è intasato c’è acqua a terra e non posso usarlo così le dico che non mi interessa chi ha fatto il casino in bagno ma lo deve rimettere a posto e lei lo rimette a posto però poi si intasa di nuovo e lei lo ha intasato tre volte che poi non so se l’ha intasato lei o il tipo che la stava scopando che poi lui penso che era un immigrato di non so dove che poi per me va bene però chissà da dove viene che lui però era pure un immigrato…»
«Oh!» L’interrompo io. «Ma noi dobbiamo lasciare la stanza, sono quasi le undici!»
Ci affrettiamo a liberare il tavolo con Ulisse che continua a parlare. Io lo ignoro alla grande così lui si concentra sul povero Konrad. Attraversiamo la strada e Konrad mi lancia un’occhiata disperata.

Oggi, in teoria, dovremmo andare insieme a Tulum, ma col piffero che mi rinchiudo in un appartamento con questo soggetto. Konrad, peraltro, non è nemmeno interessato ad andare a Tulum, perché ci è appena stato per quasi una settimana. Piuttosto, vorremmo andare in aereo nella regione di Oaxaca, o nel Chiapas, non importa davvero dove, basta che Ulisse non viene con noi. Konrad però non se la sente di scaricare Ulisse al primo giorno di viaggi.
«E che problema c’è! Corrado, ci penso io!»
Intanto Ulisse ci ha di nuovo trovato e ci pressa per affittare una stanza a Tulum.
Konrad, appurato che tocchi a me sganciare la zavorra, gli dice che prima dobbiamo parlare di una cosa. Ci sediamo insieme sui divanetti di fronte alla reception dell’ostello. Konrad abbozza qualcosa tipo «Ulisse, c’è qualcosa che ti vorremmo dire…» poi ruota la testa con calma e guarda me.
«oh, ok…» Dico un po’ impacciato. Certo che il tempo di prepararmi me lo poteva pure dare. «Ulisse… abbiamo l’impressione che non funzioniamo come gruppo. Forse è meglio se prendiamo strade separate per il resto del viaggio» Dico senza mezzi termini. Ulisse non sembra molto sorpreso, ci resta male, ma un po’ sembra abituato ad essere scaricato.
Konrad, che ha un cuore, si appresta a dire che è solo perché lui vuole esplorare Oaxaca e non vuole tornare a Tulum «altrimenti avremmo di certo continuato a viaggiare insieme!»
Io sgrano gli occhi, un po’ perché ho appena detto chiaro e tondo che è perché tra noi la cosa non funzia, poi perché se per caso Ulisse dice che pure lui vuole andare a Oaxaca, poi come la mettiamo?
Ulisse però non sembra considerare la cosa. Arriviamo persino a prendere la stessa circolare fino alla stazione degli autobus. Va da se che Corrado a Ulisse non l’ha più sentito.