Agadir

flying landscape morocco countryside try torrida campagna paesaggio marocchino deserto steppa sierra moroccanPer una sorta di scaramanzia tutta mia cerco di far passare quanto più tempo possibile tra il momento l’atterraggio e la prima fregatura, mi piace credere che porti bene.
Fuori dall’aeroporto ci sono i taxi a tariffa fissa che portano ad Agadir per l’equivalente di venti euro, ma l’autobus per Inezgane (un villaggio in periferia) costa solo quaranta centesimi, così passo i cancelli e mi metto ad aspettare sul ciglio della strada. Ci sono più di trenta gradi, secchi e una leggera foschia che smorza l’effetto dei raggi del Sole. Un giovane tassista si avvicina, abbassa il finestrino e cerca di tirarmi su per qualcosa come quindici euro.
«Centocinquanta (dirham)»
«Cento?»
«…cinquanta»
«Naaa, aspetto l’autobus, ne costa solo quattro!»
«Oggi molto caldo, autobus lento, tu aspetta due ore!»
«non ho fretta»
«Centoventi»
«Cento»
«…venti»
«No, ciccio, aspetto il bus»
Tolgo i gomiti dalla portiera e faccio per allontanarmi.
«ok, ok, cento!»
Funziona sempre.

Il tassista si chiama Zaccaria, ha venticinque anni, la bisnonna siciliana ed una figlia che si chiama Lina.
«Nome arabo, significa, uh….»
Zaccaria si guarda intorno e mi indica una palma al centro della rotatoria che stiamo percorrendo. Sbanda ed un’altra macchina suona il clacson.
«ah, guidi come noi italiani, bravo bravo… ok, quindi Lina significa palma?»
«Palma del paradiso, dal Corano! conosci…»
E come no, lo leggo tutte le sere prima di dormire.
Zaccaria adesso mi chiede se sono sposato. Questo è un tema ricorrente coi Marocchini, anzi con gli Arabi dal Marocco all’Egitto. Parliamo ancora un po’ del più e del meno, poi gli chiedo dove mangiare. Lui dice una parola che sembra “McDonald”. Chiedo di nuovo per essere sicuro di aver capito bene.
«McDonald, McDonald!»
«Zaccaria, tu McDonald, io Agadir!»
«non mangia?»
«mangia, sì, ma non McDonald! Un posto di cucina locale»
«conosco!»
«però buono, non mi portare dai tuoi amici»
«porto a ristorante di mio padre»
«seee, Zaccaria… portami ad Agadir.»
Finalmente arriviamo a destinazione: la stazione dei taxi a due chilometri dal centro. Scendo dalla vettura, saluto e continuo a piedi.

Il giorno è luminoso e il vento mi fa camminare con la fronte corrucciata, dandomi così l’espressione burbera di chi non vuole seccature. Sono un po’ prevenuto per via delle fregature di cui ho letto nei vari blog.
Passo davanti ad una bettola con macelleria annessa. I clienti comprano la carne e un tipo l’arrossisce sulla griglia, proprio come fanno d’estate dalle mie parti. Compro una fetta di manzo (un etto a tredici dirham) e quattro costolette di agnello. Pane, insalata di cipolla e pomodori e servizio inclusi, ma gli do un po’ di mancia. La valuta qui è un conveniente uno a dieci, virgola qualcosa, il che semplifica i calcoli.
Mentre mangio parte il canto dell’Azan (il raduno alla preghiera) e sul marciapiede di fianco un gruppetto di venti persone si mette in ginocchio dandomi le spalle. Tra loro c’è un ragazzino di forse sei anni che invece di inginocchiarsi si spaparanza a terra e poi si rialza. Che buffo. Quando il canto finisce sto ancora sgranocchiando l’ultima costoletta.

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Riprendo a camminare, prendo un caffè espresso (buono!) e arrivo al Jardin d’Olhão, uno dei pochi posti che ho segnato da visitare in città. Il giardino è così così, l’unica cosa degna di nota è lo strano muretto al centro, tutto curvo e spigoloso. È stato tirato su cementando insieme tantissime scaglie di pietra. Le colonne dell’ingresso del parco sono state costruite secondo la stessa tecnica, così come alcune parti di una casa di fianco al muretto, che però sembra essere stata abbandonata incompleta.

Agadir non sembra avere molto da offrire al turismo. Ci sono alcuni scorci carini, tipo dei portoni in legno intarsiato con decorazioni islamiche e il porto, il resto è stato ricostruito dopo il terremoto del ’60.

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Quello che mi regala però è l’immagine dei marocchini che passano il pomeriggio al mare. La spiaggia è piena di ombrelloni, quad e tavole da surf. Donne col chador insieme a ragazze in burkini e bikini! Ragazzi in pantaloncini che passeggiano a torso nudo. Persino ad un laico come me tutto questo appare molto più civile che in una qualunque spiaggia europea che si affaccia sul Mediterraneo.

Io ho ancora lo zaino addosso e pure i pantaloni lunghi, perché pensavo che i pantaloncini fossero poco appropriati. Trovo la fermata del bus e cerco di capire come arrivare a Tamracht, la località a venti chilometri da Agadir dove c’è il mio ostello. In strada intanto sfrecciano una quantità di vecchie Mercedes arrugginite che sono pronte per lo sfascio. Una di queste di ferma di fianco a me e l’autista mi chiede dove vado.
«Tamracht!»
«oui, d’accord»
Fa un cenno con la mano e il passeggero seduto sul sedile anteriore apre lo sportello e mi fa posto. Io d’istinto cerco di sistemarmi dietro, ma ci sono già quattro persone strette le une alle altre.
«oh…»
E tutti ridono.
Mi stringo con loro e ripartiamo tra le resistenze della macchina che vibra, ronza e scoppietta nubi nere da buco dell’ozono.

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Dopo qualche minuto di corsa comincio a sventolarmi la mano sul volto. L’autista mi da un colpetto al braccio e mi passa la manovella del finestrino.
«clima» dice lui è tutti ridono di nuovo.
Infilo la manovella nel piccolo perno in metallo che sporge vicino al bracciolo e abbasso il finestrino. Questo risolve il problema della temperatura, ma fa anche entrare il forte odore di pesce che si sprigiona dal porto al di sotto della strada che stiamo percorrendo. Chissà che l’autista non abbia pure delle mollette per il naso.

Dopo venti minuti arriviamo all’ostello e il taxi prosegue la sua corsa verso Tagazout. Qui incontro gente di tutti i tipi, ognuna con la propria storia da raccontare.

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Una ragazza dell’Arizona disegna buffi personaggi in acquerello per illustrare racconti per bambini. Fa tutto con così tanta calma e meticolosità da sembrare in tutto e per tutto come una meditazione, o la pratica del mandala.
«ero in questo ostello in Indonesia che stavo disegnando per i fatti miei…» Mi spiega. «quando una signora si avvicina, vede quello che faccio e mi chiede se voglio illustrare le sue storie… questo sarà il terzo libro che faccio con lei»
Mi mostra le bozze e le tavole che ha già preparato, buffe e colorate. Disegna i vari personaggi e gli oggetti separatamente, poi li ritaglia, lì fotografa e li compone al computer.

Sarebbero tante le persone da raccontare ancora, ma anche noioso cercare di farlo. Mi limito a questa. Domani mattina ho yoga e la lezione di surf. Che la vacanza abbia inizio!

P.S. Ho dimenticato il cavetto del cellulare a Berlino, è il mio subconscio che cerca di comunicare.

PAROLA DEL GIORNO: Jazakum Allahu Khairan (May Allah reward you)