Il Karma esiste

Stamattina mi sono alzato quand’era ancora buio, mi sono preparato in silenzio e sono uscito per salire su Ella’s Rock, una collina che domina il paese di Ella, per vedere il sorgere del Sole.
Cammino lungo i binari del treno per una cinquantina di metri, imbocco un sentiero di terra battuta e oltrepassa un ruscello su un ponte in cemento.

In lontananza sento il richiamo dei pavoni selvatici. Somiglia vagamente al miagolio dei gatti, ma molto più forte. Dei cani rispondono al richiamo abbaiando. Di tanto in tanto, scorgo qualche lucciola che lampeggia il suo richiamo amoroso.
Sono troppo assonnato per preoccuparmi di ragni e sanguisughe. La mia unica preoccupazione è arrivare in cima al colle in tempo per vedere il Sole fare capolino nel nuovo giorno.

Quando il cielo è già schiarito verso est, il canto dell’Azan richiama alla preghiera i musulmani e so che mi devo affrettare. Raggiungo la mia meta dieci minuti prima dell’alba. Mi metto a sedere su una roccia ad un metro dal dirupo ed aspetto in silenzio.
In basso, verso ovest, il villaggio è ancora avvolto in una foschia densa e circoscritta; le nuvole cominciano già a tingersi di rosa.

Quando è tutto finito torno all’ostello, raccolgo le mie cose e faccio un salto ad Ella per completare la colazione con un caffè. Forse il mattino è cominciato troppo bene, non so, ma da questo momento in poi le cose andranno di merda fino al tramonto. Perdo un’infinità di tempo a trovare un nuovo ostello (il primo l’ho dovuto lasciare perché una comitiva ha occupato tutti i letti stanotte) e quando lo trovo entro passando per uno sterrato pazzesco, tant’è che finisco disarcionato e mi si rompe uno degli specchietti retrovisori (di nuovo!!! – l’avevo appena cambiato). I tipi dell’ostello mi vedono arrivare come un disperato.
Sono così agitato che incasino i convenevoli. Loro fanno tutti i gentili, mi offrono il tè, ma l’unica cosa che riesco a chiedere è un set di chiavi inglesi per sistemare il danno più importante alla moto.

Quando guido verso le cascate di Diyaluma sono già le due del pomeriggio.
All’inizio volevo vedere il paesaggio dal belvedere di Lipton’s Seat, ma non voglio arrivare alle cascate troppo tardi, altrimenti farà troppo freddo per farsi il bagno. Salto il belvedere, faccio un pausa pranzo e perdo ancora tempo prezioso.

Arrivo alle cascate alle quattro e mezza. Scrocco una sigaretta ad una tipa tedesca (sono dappertutto) e il suo autista Del tuk-tuk mi dice che la cima delle cascate dista solo un chilometro dalla base. Prova anche a rifilarmi una guida, ma preferisco fare da me.
Imposto Google Maps in modalità Satellite e trovo un punto dove la strada passa vicino alla cima delle cascata. Impiego venti minuti ad arrivarci e il cellulare segna già la cinque (il tramonto è alle sei).
Un signore si sbraccia per inviarmi l’inizio del sentiero per le cascate. Mi fermo, parcheggio, lo ringrazio e faccio per avviarmi, ma lui mi segue. Vado da solo, gli dico, ma lui insiste per accompagnarmi. Divento più categorico e lui subito unisce pollice ed indice e mi chiede dei soldi.
«Perché mai dovrei pagarti?»
Lui sembra volermi dire che è una strada privata o che cavolo ne so. Mi accorgo che è anche ubriaco.
«Vuoi dei soldi…»
«Sì»
«…per attraversare il sentiero?»
«Sì»
«quindi mi dai il biglietto d’ingresso»
«Uh?»
«Ciao.»
«Sir!»
Signore tua sorella. Imbocco il sentiero con lui che ancora blatera qualcosa.

Dopo una decina di minuti sento il vociare della gente che fa il bagno. Mi animo al pensiero di immergermi finalmente in acqua, punto dritto in basso e mi infilo in quello che mi sembra la continuazione del sentiero, ma forse è solo il solco lascia dall’acqua piovana. Senza rendermene conto, mi infilo in un cazzo di cespuglioDalle foglie spinose che mi irritano le braccia. Scivolo sul letto di foglie e bestemmio la madonna. Provo a tornare in cima, ma una pietra su cui ho poggiato il piede si sfila dalla terra e mi fa battere lo stinco. Sono sporco, sudato, stupido e incazzato come una falena che sbatte contro una lampadina accesa.
Torno alla moto e il balordo è sparito. Proseguo per un altro paio di chilometri e stavolta comincio a vedere motorini parcheggiati sul ciglio della strada. Bingo.
Un ragazzino si avvicina e si offre di farmi da guida per raggiungere il fiume. Io mi sto ancora grattano le braccia per le piante di prima, insomma l’idea di avere un accompagnatore adesso mi va piuttosto a genio. Comincio la trattativa chiedendo se è gratis. Il ragazzino dice nooooo…
«…no gratis.»
«Quanto vuoi?»
«Mille e cinquecento rupie.»
Che è quello che pago per una notte in ostello o almeno quattro pranzi al curry.
«Bambino devi essere pazzo, ti do cinquanta rupie.»
«Nooooo, troppo poco.»
Gli mostro il mio cellulare.
«Il percorso ce l’ho sul Google Maps! le vuoi cinquanta rupie o no?»
Lui ci pensa un attimo.
«mhh, Cinquecento rupie.» Propone lui facendo scattare il petto.
Bambino, hai appena spezzato la corda. Lo saluto con la mano e mi allontano. Lui non insiste più e se ne va via.

Trovo lo stramaledetto fiume così tardi che pure quello del chiosco delle bibite se n’è andato. Restano solo un gruppo di turisti, inclusa una tipa che ha paura di tuffarsi dalla cascata (un salto più piccolo di quella principale… da quella si muore).
Sono così impaziente di farmi il bagno che mi cambio in un attimo e mi tuffo davanti a lei. Il nervosismo ha cancellato la paura di tuffarmi. Quando risalgo attacco bottone con una sua amica (guarda caso anche lei tedesca) e mi rilasso un pochettino al pensiero che, anche se per poco, ho raggiunto il mio obiettivo. Adesso tocca tornare ad Ella.

Il tramonto inizia già quando sono sulla strada del ritorno. Google mi indica un nuovo percorso, passo per un nuovo villaggio ed è una cosa incredibile. La foschia, la luce, le colline… sembra di essere in un dipinto. Mi fermo a più riprese per fare fotografie (ormai è tardi comunque) e so di avere davanti un’ora di guida nel buio più totale.
Mi intrattengo cantando Tapparella, Kristo Sì!, I Feel Good e Mi far star bene dei Ridillo e dopo un’ora e mezza sono finalmente alle spalle di Ella. Mancano solo venti minuti di strada quando questa si interrompe davanti ai binari della ferrovia. Il navigatore mi dice di andare dritto, ma è impossibile! Non vedo nemmeno la fantomatica strada dall’altro lato dei binari.
Torno indietro e chiedo ad un gruppetto cosa fare. Loro mi chiedono dove voglio andare.
«Ella.»
«Tornare indietro… molto lontano signore, vai dritto.»
«Dritto dove? Ci sono i binari…»
«Passa binari»
«Passa come»
«passa»
E fa un gesto con la mano.
«mh… non capisco… mi potresti aiutare?»
Il gruppetto (una coppia con bambino più un tizio giovane) mi accompagna ai binari. Mi fanno capire che bisogna sollevare la moto e passarla dall’altra parte.
«Ma che davvero?»
Loro ridono e cominciano a spingere. Insomma, la moto passa in mezzo ai binari per poi dall’altra parte. Attraverso il piccolo sterrato di fianco ed imbocco di nuovo la strada.
«Ma questa è roba da matti!»
Il gruppetto non ci sta nella pelle. Sono tutti divertiti dalla mia incredulità. Ride la bambina, ride la mamma, ridono i due tipi che mi hanno appena aiutato. Guido altri venti minuti e sono finalmente in ostello. Doccia, cena, birra e buonanotte.