Una giornata lunghissima! Se questo viaggio, tra furti e casini vari, è un po’ un festival della sfiga, oggi è stata la notte degli oscar!

A mezzanotte e mezza prendiamo il bus per La Quiaca, al confine con la Bolivia. Quando arriviamo, alle 6 del mattino, siamo un’ora in anticipo e la frontiera è ancora chiusa. Fa un freddo pazzesco, e dopo cinque minuti non ci sentiamo più le dita dei piedi. Vado in bagno, uno schifo indicibile, mi metto su tutti i maglioni che ho e indosso una calzamaglia di lana che avevo comprato il giorno prima a Salta. Niente. Il freddo entra come prima. Ho le All Stars sottilissime con i buchi per l’aria (!!) e il freddo mi entra da piedi e sale fino al busto. Sto tremando come un matto.

Dopo una mezz’ora buona passata tentando di riscaldarci con le bestemmie prendiamo un taxi che ci porta alla frontiera, passiamo quella Argentina, ma dopo il ponte la guardia Boliviana ci dice che la loro frontiera é chiusa (ci sono state le elezioni oggi in bolivia), ma decide di farci passare comunque per trovare un posto per dormire e tornare a timbrare i passaporti il giorno dopo. Dovremo restare qui ancora una notte.

Mentre ormai i piedi non mi fanno più male (brutto segno), troviamo un ostello scassatissimo per 30 bolivianos (3€). Un cane nero enorme dorme su una delle poltrone e ringhia, la carta igienica e le saponette sono in un espositore di vetro sulla destra. La tipa ci chiede i passaporti e con un sorrisino ci dice che li tiene lei stanotte (le avrei dato un morso in testa), ma Marion comincia a gridarle contro in una lingua tutta sua, tra lo spagnolo e il portoghese con accento francese, facendole cambiare idea in un attimo.

Mentre mi metto a letto non so chi dei due (naa, lo so, ma lasciamo perdere) va in bagno a fare qualcosa di mostruoso un attimo prima di scoprire che non c’è acqua per lo scarico. Ci sistemiamo nei letti e mentre mi si scongela il naso un odore nauseante sale dal cesso.

Mi sveglio qualche ora dopo bollente, devo avere la febbre a 39 almeno. Vorrei lamentarmi ma non voglio svegliare Andrea e Marion, che sembrano due mummie, immobili nei loro sacchi a pelo. Si sveglia Marion e mi faccio dare due pillole di paracetamolo, mentre prendo da una bustina 4 foglioline di coca e me le metto in bocca (siamo a 3500 metri, manca l’aria e ho un mal di testa assurdo). Quelle maledette foglie non fanno effetto e rimango a lamentarmi nel letto chiedendo ad Andrea di spararmi (e lui ci pensa su)

Dopo alcune ore e giri nella città deserta (è tutto chiuso per le elezioni, cavoli) Andrea e Marion mi propongono, a malincuore, di tornare a Salta, più in pianura e più calda, che nella camera in ostello non c’è riscaldamento (nessun albergo ce l’ha) e la porta è un’asse di legno malmessa che fa presagire una notte di gelo.

Torniamo a La Quiaca, mangiamo un boccone prima di rimetterci in autobus (altre 7 ore di viaggio). Camminando verso la frontiera già discutevamo su come riprogrammare il viaggio, ritornare in Brasile etc. per non dover affrontare quel freddo maledetto, parlavamo con la voce abbattuta, sconfitti. Mentre torniamo la febbre si affievolisce e quasi mi passa, facendo incazzare Andrea come un riccio. Mi sento quasi in colpa per essere dovuto ritornare, di essere stato male e di essere guarito nell’arco di una mattinata, ma non dipendeva da me. Gli passerà.

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L’idea di stravolgere l’itinerario ci è durata poco, alla fine nessuno ci credeva davvero, e appena tornati a Salta facciamo acquisti mirati per affrontare il freddo, scarponi invernali da trekking, maglioni in pile e tante calze di lana. Entro un paio di giorni torniamo in Bolivia.
madú!

PAROLA DEL GIORNO: adj frio (freddo)

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