Jet Lag a Negombo

Tre del mattino, occhi spalancati. A Berlino, la città dove vivo e dove ho preso l’aereo, adesso sono le dieci e mezza di sera. Ma che cazzo ci faccio sveglio? Il volo è durato qualcosa come dieci ore, Dalle nove di sera fino alle sette del mattino. Mezzogiorno per l’ora locale.
Stavolta il volo è stato lungo, noioso e sofferto. Ho mangiato qualcosa a cui ero intollerante e mi è salita una stretta in gola. Per fortuna avevo gli antistaminici in gocce, quelli con l’effetto più rapido, ma mi hanno dato una nausea terribile e ad una certa ero zuppo di sudore, gelido e a un passo dallo svarione. Mi è già successo di stare male in aereo, una decina di anni fa. Quella volta ho deciso di alzarmi per vomitare in bagno. Ero quasi arrivato, stavo girando la maniglia e poi… blackout. La cosa successiva che ricordo erano le facce degli Stuart che mi guardavano preoccupati, cercando di farmi rinvenire, e tutti i passeggeri si erano sporti dai sedili in cerca di intrattenimento. Insomma, meglio sfilare il sacchetto dal sedile ed aspettare.
Finalmente atterriamo a Colombo. L’aria è calda e piacevole (almeno per i miei standard) e la gente di certo più sorridente del posto da cui sono partito. Trovo un Tuk Tuk che mi porta a Negombo per mille rupie (cinque euro). Il cingalese che lo guida si chiama David, come me. Gli chiedo se sa dove posso comprare una moto.
«Noleggiare?»
Boh, sì… «Noleggiare.»
«Andiamo a vedere il mio amico. Poi all’ostello.»
«Perfetto.»
Passiamo per il centro di Negombo, uno strano misto di mercanti, mendicanti e… presepi. Sì, presepi! La scena della natività con statuine grosse almeno trenta centimetri. Per me il presepe con trenta gradi non ci azzecca niente, ma è solo perché per me Gesù è una tradizione invernale, come il vin brulé. Passi questo, ma l’albero di natale con gli addobbi e le lucine? Mentre ci penso, arriviamo all’agenzia dell’amico di David, ma il tipo non c’è, così ci infiliamo in altre agenzie limitrofe. Con otto dollari al giorno si può affittare uno scooterone, con tredici una moto da 200cc col cambio manuale. Il tipo dell’agenzia più promettente mi chiede che giro voglio fare, al che mi ricordo del treno per Kandy.
«Vorrei girare le spiagge della costa a sud ovest…» Gli spiego. «poi a nord, nell’entroterra. Ma da Ella ho il treno… e come si fa?»
Il tipo subito propone di portarmela lui a Kandy.
«Cioè tu verresti ad Ella per portarmi la moto a Kandy, dico bene?»
«Sì.»
Cazzo, penso, ma allora posso tirare il prezzo a bomba.
«Ci devo pensare, scambiamoci i numeri di telefono.»
«Whatsapp…» conferma lui. «scrivimi pure lì!»
Sono proprio un portafogli con le gambe.
Torno al Tuk Tuk, raggiungo l’ostello e saluto David. Per ringraziarlo, le mille rupie diventano mille e cinquecento e lui ne è davvero sorpreso e contento.
«Chiamami quando vuoi, ti vengo a prendere!»
Mollo lo zaino in camera. Sono già le tre del pomeriggio, ora locale. Mi butto nel letto e dormo come un sasso per un’ora e mezza. Mi sveglio completamente intontito, vorrei dormire ancora, ma è meglio di no. Il tramonto è tra meno di un’ora, così indosso il costume e vado in spiaggia.
Stormi di uccelli seguono la linea della costa, volano verso est. Poco prima di sparire oltre l’orizzonte, il Sole viene coperto da una nuvola passeggera. Mano mano che continua a calare, le spunta da sotto come un tramonto alla rovescia. In un minuto è di nuovo un cerchio giallo e arancione. La foschia lo deforma, disegna le sue striature sul disco e lo oblitera dal cielo.
Poco più avanti sulla spiaggia c’è un piccola folla di gente del posto e bancarelle di gamberi fritti. Nessuno sembra comprare quella roba, tantomeno io. Torno in ostello a lavarmi, mi copro di DEET e vado a controllare un’intersezione della vita notturna di Negombo, ma il tipo che l’ha suggerita su TripAdvisor doveva essere un gran simpaticone, perché qui non c’è niente, solo un sacco di macchine che si sorpassano a vicenda in balia dei pedoni.
Torno sul lungomare, già rassegnato a mangiare in un ristorante per turisti. Ce n’è uno greco, uno italiano, uno indiano che comunque serve la pizza. Passeggio ancora un po’ e trovo un chiosco che frulla la frutta fresca, una specie di capanna in stile Reggae giamaicano. Dietro al bancone c’è una bandiera cingalese (un leone dorato con una spada in mano su sfondo rosso ed una striscia verde ed arancione a sinistra).
Scopro una quantità di frutta nuova, mai sentita finora: Wood Apple, Namnam, Custard apple, Ambarella, Bael, Egg fruit, Nelli… ogni smoothie è proposto elencando le proprietà del frutto. Scopro che la frutta non solo aiuta contro la costipazione, ma anche contro la cellulite e pure il cancro. Su uno c’è scritto “High enough to defecation”, ma credo sia un errore di traduzione.
Il tipo mi propone del Soursop (della graviola), un frutto verde, butterato e bruttino ed è inaspettatamente buono! Gli chiedo allora dove posso mangiare un boccone.
«…anche del cibo di strada.»
«Di strada?»
«Basta che è buono.»
«Prova qui di fianco, fanno il Kottu
«Qui di fianco?» Ripeto indicando l’edificio che si deve dal chiosco.
«Senti dove fanno il rumore “cica cicàaaaa”» Dice lui agitando un grande vassoio invisibile.
Dal chiosco, mi ritrovo in una bettola stretta, sporca e sostanzialmente indecente. I prodotti sono esposti da così tanto tempo che il Sole ne ha sbiadito le confezioni. Chissà se qualcuno non è ancora scaduto.
Il tipo alla cassa mi ignora alla grande, lascia passare tutti quelli dietro di me, ma non demordo.
«Kottu Chicken.» Reclamo scandendo bene le parole.
«Kottu Chicken? Ok ok.» E ondeggia la testa a destra e sinistra come gli indiani dell’india. Attorno a me mangiano tutti con le mani, ma il tipo della bettola, di sua iniziativa, si premura di servirmelo con un cucchiaio.
C’è un grande andirivieni di gente che compra il Kottu d’asporto. Alcuni sembrano sorpresi di vedermi lì, perché mi guardano e sorridono con una vena di stupore disegnata sulle sopracciglia. Mangio, pago trecento rupie (un euro e mezzo) e me ne torno in ostello.
Vorrei fare amicizia con qualcuno, fare quatto chiacchiere, ma gli unici ospiti sono dei cinesi cafoni e rumorosi, che urlano, sbattono le porte… il vecchio cingalese dell’ostello, un tipo dalla pelle secca e i capelli bianchi d’avorio, viene a dirmi di stargli alla larga.
«The lady talk… uhhhhh.» Il vecchio, con una mano aperta, disegna dei piccoli cerchi nell’aria e fa la faccia disturbata di chi vorrebbe solo un po’ di pace.
Non so, forse ho troppe aspettative sul tipo di viaggio che vorrei che non accolgo gli accadimenti che non rientrano nella mia immaginazione… o forse sono solo in un posto di merda.
Insomma, qui si sono fatte le quattro del mattino e niente, ho perso un po’ di tempo scrivendo un po’ di roba a caso.

PAROLA DEL GIORNO [cingalese]: ස්තුති, stuti (grazie)