Jeep! (Terme, Laguna verde, Licancabur)

Sveglia prima dell’alba, per vederla in un villaggio fantasma vicino San Antonio del Lipez. Stiamo per raggiungere i 5000mt e si sente: ho tre paia di calze, due sciarpe, in quanto a maglie ho più strati di una cipolla ma bastano 10 minuti fuori dalla jeep (dove comunque non c’è riscaldamento) per far entrare il vento nelle ossa Come cavolo fa Verni a stare con la gonna, collant e scarpe aperte non lo so..

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Passiamo gran parte della mattinata in Jeep, per poi arrivare a una laguna che ha una piccola vasca adiacente dove si può fare il bagno! Ci stiamo dentro mezz’ora e ci sentiamo rinati, sia per il calore che per l’acqua, sia per.. insomma, finalmente ci possiamo lavare!
È buffo vedere i turisti in giaccone fuori dall’acqua mentre noi siamo li a mollo.

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Il bagno ci ha tirato su di morale, ma sopratutto ci da la forza di resistere mezz’ora credo fuori dalla jeep alla fermata successiva, la più bella del viaggio: il vulcano Licancabur. È un vulcano attivo, con una laguna davanti (Laguna Verde) che, se non ci fosse il vento, lo rifletterebbe completamente. Che spettacolo, il colore della laguna è fortissimo: azzurro con forti riflessi verdi (l’acqua è piena di rame), e una grande luce.
Matty e Eddy dopo i soliti 5 minuti già sono tornati alla Jeep, hanno scattato le loro foto e aspettano di ripartire, ma ‘sti cazzi, mi allontano e scendo fino alla laguna per vederla da vicino. Durante la notte le lagune ghiacciano, per poi sciogliersi al centro durante il giorno..

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Passiamo ad alcune solfatare (puzzolentissime ovviamente) e ad un geyser, certo che la natura di questi altipiani Boliviani è proprio.. innaturale! 🙂

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La sosta al Licancabur ci ha fatto fare tardi, saltiamo il deserto di Dalì per andare subito al “villaggio” (cioè 2 case). Non si può prenotare, questo significa che le jeep che arrivano in ritardo e trovano pieno devono andare al villaggio successivo e tornare indietro il giorno dopo per riprendere il percorso, una scocciatura. Per fortuna troviamo posto, e c’è anche una stufa! Di contro non c’è acqua, che durante la notte si è congelata nelle tubature.
Ci sistemiamo e torniamo in Jeep per andare alla vicina Laguna Rossa (questa per via di alcune alghe) Dove ci sono alcuni aironi, i pochi rimasti qui dopo la migrazione.

DS

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PAROLA DEL GIORNO: sm vermelho (rosso)

Jeep! (Sellar, San Antonio del Lipez)

Dopo una mezza fregatura che ci ha fatto slittare di un giorno la partenza, siamo riusciti a partire per un tour di 4 giorni fuoristrada sugli altopiani. 110€ a testa per fuoristrada, autista, cuoca di bordo, ingresso ai “parchi” e vitto e alloggio nei villaggi lungo il percorso. Niente male!

Praticamente l’unica cosa non inclusa sono gli alcolici, come ci ha detto la tipa dell’agenzia, la quale ha aggiunto che se li compriamo, non dobbiamo offrirli al conducente “perché quelli si ubriacano subito e finiscono fuori strada”. Cominciamo bene.

Il nostro autista si chiama Berni, la cuoca (una cholita cicciona simpaticissima) Verni.. i nostri compagni di viaggio Matty ed Eddy …Berni, Verni, Matty e Eddy, proprio una bella collezione di nomi del cassius

La Jeep è scassatissima, tiri giù il finestrino e se ne viene la guarnizione, una cassa dell’autoradio è sfondata, quindi Berni spara a palla l’altra cassa distruggendo l’udito di Eddy mentre Matty dorme e Verni se la ride (e se la canta pure.. Cholita Marina è la hit boliviana del momento!).

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Prima tappa il Sellar dove passiamo 5 minuti scarsi. Tutte le soste saranno così, il che sembra una fregatura, ma quando ti trovi a più di 4000 metri senz’ossigeno, il freddo (la notte scende a -20°C) e con un sole che picchia forte.. sono insomma, 5 minuti sono il massimo sopportabile!

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Nel percorso, che il primo giorno permette di vedere poche cose, passiamo per alcuni piccoli villaggi, dove ci fermiamo per camminare un po’ per sgranchirci.

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– Amoreee, non riesco a trovare la pelle del lama che ho scuoiato stamattina..
– Era tutta bagnata di sangue, l’ho stesa fuori ad asciugare
– Una santa, ho sposato una santa!
 

La sera ci fermiamo all’ennesimo villaggio dove passeremo la notte. È quasi l’ora del tramonto, sfido il fiatone e salgo su per la collina per vederlo. Passo in mezzo ad un branco di Lama che mi fissano immobili e mi viene la paura che comincino a sputare.

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È una corsa inutile, il sole scende troppo velocemente per me, e le foglie di coca non mi aiutano per niente (dicono che fanno bene contro il mal d’altura). Quando arrivo su sono a pezzi, devo respirare forte ma l’aria è fredda e mi fa male.

San Antonio del Lipez è sparita mentre salivo, nascosta dalla pendenza della montagna, e tutto intorno a me è silenzio e vento. Mentre ero lì, avevo scritto sul mio taccuino “Le nuvole del tramonto hanno i colori dell’arcobaleno, Deve essere una specie di aurora. Tutt’attorno ho montagne e nulla di artificiale [..] è indescrivibile, non c’è che bellezza nel raggio di chilometri, sembra che le montagne, il cielo e il vento siano qui apposta per me. Mille cespugli, in fila, mi fanno compagnia in questo tramonto che sembra troppo bello per essere vero. I tramonti sono sempre così, stai lì a riempirtene gli occhi e quando passano non sono mai durati abbastanza.”.

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Non posso stare qui più di venti minuti, fa troppo freddo e il vento non aiuta. Un posto bello quanto inaccessibile.

PAROLA DEL GIORNO (br): Altitude

La Quiaca-Tupiza (e Virgen de Urkupiña)

Finalmente in Bolivia! Non mi sembra vero!
Dopo aver compilato un arguto questionario alla dogana ci accorgiamo ci come il paesaggio e le persone cono completamente cambiate. È molto particolare, ma, quelle donne con la bombetta identica a quella Stanlio & Ollio sono davvero ridicole! Marion s’arrabbia, dice che una frase del genere è da ignorante. Ci può anche stare, ma mi sento colpito ingiustamente… se il mio commento fosse stato positivo, allora non ci sarebbe stato nulla da ridire. Le opinioni si accettano per quello che sono. Glielo dico. Apriti cielo, nuova discussione. Andrea strabuzza gli occhi e ci implora di lasciar(ci) perdere.

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Cerchiamo un mezzo per raggiungere Tupiza. Il viaggio sono 6 ore su un autobus scassatissimo. Non ci sono strade asfaltate e sembra di viaggiare su un aereo in perenne fase di decollo! La polvere che viene alzata dal bus entra dai finestrini e ce n’è così tanta che si vedono i raggi del sole.

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Dopo tutti i casini che abbiamo fatto per arrivarci Tupiza è diventata una destinazione ambita! Siamo tutti felicissimi di esserci arrivati, anche perché la bolivia sembra davvero interessante e i insolita. Tupiza è circondata da montagne rosse che al tramonto s’incendiano completamente.

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Dopotutto, se siamo arrivati qui proprio alla vigilia della festa patronale (della virgen de Urkupiña) lo dobbiamo ai ritardi e agli aerei cancellati. Come qualsiasi festa patronale che si rispetti c’è la banda di ottoni e once che stona tutto (molto balcanico, ci piace un sacco), vestiti assurdi, soldi finti e, perché no, qualche armadillo imbalsamato (li usano per farci pure gli strumenti musicali, come il charango).

Le auto che sfilano in coda alla processione sono decorate con tappeti dai colori acidi. Uno ha pure un tigrotto trudi in bella vista sul tettuccio. Tutto fa brodo.

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PAROLA DEL GIORNO (br): Patrono (patrono)

Infermo Boliviano

Una giornata lunghissima! Se questo viaggio, tra furti e casini vari, è un po’ un festival della sfiga, oggi è stata la notte degli oscar!

A mezzanotte e mezza prendiamo il bus per La Quiaca, al confine con la Bolivia. Quando arriviamo, alle 6 del mattino, siamo un’ora in anticipo e la frontiera è ancora chiusa. Fa un freddo pazzesco, e dopo cinque minuti non ci sentiamo più le dita dei piedi. Vado in bagno, uno schifo indicibile, mi metto su tutti i maglioni che ho e indosso una calzamaglia di lana che avevo comprato il giorno prima a Salta. Niente. Il freddo entra come prima. Ho le All Stars sottilissime con i buchi per l’aria (!!) e il freddo mi entra da piedi e sale fino al busto. Sto tremando come un matto.

Dopo una mezz’ora buona passata tentando di riscaldarci con le bestemmie prendiamo un taxi che ci porta alla frontiera, passiamo quella Argentina, ma dopo il ponte la guardia Boliviana ci dice che la loro frontiera é chiusa (ci sono state le elezioni oggi in bolivia), ma decide di farci passare comunque per trovare un posto per dormire e tornare a timbrare i passaporti il giorno dopo. Dovremo restare qui ancora una notte.

Mentre ormai i piedi non mi fanno più male (brutto segno), troviamo un ostello scassatissimo per 30 bolivianos (3€). Un cane nero enorme dorme su una delle poltrone e ringhia, la carta igienica e le saponette sono in un espositore di vetro sulla destra. La tipa ci chiede i passaporti e con un sorrisino ci dice che li tiene lei stanotte (le avrei dato un morso in testa), ma Marion comincia a gridarle contro in una lingua tutta sua, tra lo spagnolo e il portoghese con accento francese, facendole cambiare idea in un attimo.

Mentre mi metto a letto non so chi dei due (naa, lo so, ma lasciamo perdere) va in bagno a fare qualcosa di mostruoso un attimo prima di scoprire che non c’è acqua per lo scarico. Ci sistemiamo nei letti e mentre mi si scongela il naso un odore nauseante sale dal cesso.

Mi sveglio qualche ora dopo bollente, devo avere la febbre a 39 almeno. Vorrei lamentarmi ma non voglio svegliare Andrea e Marion, che sembrano due mummie, immobili nei loro sacchi a pelo. Si sveglia Marion e mi faccio dare due pillole di paracetamolo, mentre prendo da una bustina 4 foglioline di coca e me le metto in bocca (siamo a 3500 metri, manca l’aria e ho un mal di testa assurdo). Quelle maledette foglie non fanno effetto e rimango a lamentarmi nel letto chiedendo ad Andrea di spararmi (e lui ci pensa su)

Dopo alcune ore e giri nella città deserta (è tutto chiuso per le elezioni, cavoli) Andrea e Marion mi propongono, a malincuore, di tornare a Salta, più in pianura e più calda, che nella camera in ostello non c’è riscaldamento (nessun albergo ce l’ha) e la porta è un’asse di legno malmessa che fa presagire una notte di gelo.

Torniamo a La Quiaca, mangiamo un boccone prima di rimetterci in autobus (altre 7 ore di viaggio). Camminando verso la frontiera già discutevamo su come riprogrammare il viaggio, ritornare in Brasile etc. per non dover affrontare quel freddo maledetto, parlavamo con la voce abbattuta, sconfitti. Mentre torniamo la febbre si affievolisce e quasi mi passa, facendo incazzare Andrea come un riccio. Mi sento quasi in colpa per essere dovuto ritornare, di essere stato male e di essere guarito nell’arco di una mattinata, ma non dipendeva da me. Gli passerà.

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L’idea di stravolgere l’itinerario ci è durata poco, alla fine nessuno ci credeva davvero, e appena tornati a Salta facciamo acquisti mirati per affrontare il freddo, scarponi invernali da trekking, maglioni in pile e tante calze di lana. Entro un paio di giorni torniamo in Bolivia.
madú!

PAROLA DEL GIORNO: adj frio (freddo)