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Il ciccio australiano mi ha consigliato di prendere la QL27C da Nha Trang per Dalat. Una strada perfettamente asfaltata e senza vie d’uscita. Per 120 chilometri.
All’inizio sono effettivamente un po’ titubante: praticamente ci solo soltanto io a percorrerla, ma non mi va di tornare indietro e perdere i chilometri già fatti.
Dopo un po’ però a strada si restringe. Gradualmente, diventa più sinuosa e circondata da più vegetazione e tunnel alberati. Nel giro di forse un’ora prende a snodarsi in salita su per le montagne fino ad arrivare in quota alle nuvole. Un paesaggio del Vietnam decisamente inaspettato.

Grazie di cuore ciccio australiano.

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Per la prima volta incrocio altri backpacker in motocicletta, che viaggiano in senso opposto al mio. Ci accenniamo un saluto sollevando un paio di dita, poi passiamo oltre, ognuno nella propria direzione.

Insieme alla quota, aumenta anche la percezione del freddo. Ho la pelle d’oca alle braccia e un gelo che mi sale su per la schiena. Osteria ragazzi, che arietta che tira.
Mi fermo, libero il bagaglio dalle cinghie e indosso i pantaloni lunghi e le scarpe. Oh, quanto vorrei non aver dimenticato il maglione a Bangkok!

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Il paesaggio diventa sempre più imponente…

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poi spettrale….

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…fino a quando non si vede davvero più niente. Ogni curva è un salto nel buio, Le nuvole si sono trasformate in nebbia, aqua nebulizzata che mi si appiccica addosso e mi fa prendere un accidente alla schiena.

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Percorro la strada stando quanto più possibile sul ciglio e a velocità ridotta, forse più preoccupato dei mezzi che possono raggiungermi da dietro che quelli che ho contro. Subito prima di una curva segnalata un camion sbuca all’improvviso dalla nebbia e mi rendo conto che con il mio fanale da quattro soldi sono praticamente invisibile.

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Sbuco dall’altra parte della montagna, che adesso non può più ostruire il Sole. La nebbia si ritramuta in nuvole, che si staccano dalla montagna come fumo di un incendio invisibile.

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Comincio la discesa, congelato e sbalordito, come un ragazzino appena fuori dalla giostra del Conte Dracula al Luna park. Dalla distanza, confondo un numero di gente locale per backpacker e solo perché hanno anche loro una Honda Win, la moto preferita in tutte le montagne del Vietnam, insieme alla meno rispettata Minsk di fabbricazione russa.

Adesso il paesaggio è più accogliente: attraverso un piccolo lago, nel pieno di una valle terra rossa ed alberi di Pino. La temperatura torna a salire, ma ormai non più calda come alla partenza.

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Ad un’ora dall’arrivo, con la scusa di bere un caffè, mi fermo per scaldarmi un po’. Entro nella bettola di turno, uno stanzone fatiscente senza nemmeno l’intonaco. Il posto sembra deserto, ma la televisione è accesa, così gironzolo a vuoto scandendo un ‘hallo?’ di tanto in tanto. All’improvviso, dall’amaca al centro della stanza si solleva la testa di una giovane donna, con un neonato al grembo. Le faccio cenno di non scomodarsi, ma lei comincia a chiamare ad alta voce qualcuno dal retro. Il neonato non si sveglia nemmeno.
Un minuto dopo, una signora oltrepassa le tendine dietro il bancone e mi interroga con lo sguardo.

« ca phe? »

Si, signora ca phe, caffè, coffee, basta che sia caldo e ci sia un po’ zucchero dentro. Mi siedo su uno sgabello basso e mi sfrego le mani addosso nel tentativo di riscaldarmi. Sto quasi ritemprandomi quando scatto al pensiero… I vietnamiti di solito bevono il caffè con l’aggiunta di cubetti di ghiaccio; ho dimenticato di dire alla signora che io lo voglio caldo, anzi bollente! Lei però è di nuovo nel retrobottega e col cavolo che voglio interagire di nuovo con la figlia. Va bene, mi accontenterò dello zucchero.

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Dopo qualche minuto la signora torna nello stanzone, stavolta col vassoio in mano e qui mi accorgo della prima piccola differenza col Vietnam delle pianure e delle coste: il caffè qui lo servono liscio, awww…

Raccolgo tra le mani la caraffa del the caldo (in Vietnam servito sempre insieme al caffè), mentre il l’acqua filtra attraverso il macinato e macchia con gocce scure il latte condensato sul fondo del bicchiere.

Sono davvero stremato.

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Tiro fuori il mio taccuino e faccio un paio di conti… con tutte quelle salite in terza la moto s’è bevuta 1 litro di benzina ogni 28 chilometri contro i 42 km/l percorrendo la costa in relativa pianura. Penso un attimo al percorso della giornata, le cascate a picco di crepacci lungo la strada, i paesaggi sterminati, la fitta nebbia che mi ha caricato di adrenalina… ma si che ne è valso la pena, che strada da paura!

 

 
CANZONE DEL GIORNO: Paul Simon – God bless the absentee

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