Da Dia Reef (Qui Nhơn > Tuy Hòa)

L’ostello/resort è a sud di Qui Nhơn, ma prima di partire ho bisogno di fare benzina e, soprattutto, una colazione decente. Torno sui miei passi e do un’altra occasione a questa piccola città di regalarmi qualcosa.

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Mangio in una bettola a caso, l’immancabile Pho Bo, poi ordino un caffè. La signora mi dice che non lo serve e che devo andare al bar di fronte. Questo capita così spesso che chiedere un caffè equivale quasi sempre a chiedere indicazioni.
Il “bar di fronte” è nascosto in un cortile al riparo dalla strada. Un gruppo sta giocando all’ennesimo gioco a carte che non riesco a capire. Una signora senza denti mi si siede vicino e mi sorride*, poi prende la racchetta elettrica e ammazza qualche zanzara. Torna a sedersi vicino a me ed indica il ventilatore, vuole che lo accenda per me. Chissà, forse per i vietnamiti è così fondamentale che pensano che siamo un po’ tonti a tenerlo spento. Un brivido mi corre lungo la schiena sudata, roba da crampi. Lo spengo e torno al mio caffè.
Mi accendo una sigaretta. Faccio un cenno al proprietario del bar. Gli chiedo un posacenere e lui mi indica il pavimento.

Qui Nhơn non è il posto migliore per bere il caffè. Quasi tutti servono una specie di frappé schiumoso che per carità la schiuma, ma la poesia del caffè che lentamente gocciola e sporca il latte condensato si perde senza guadagnarci niente in cambio. È il marketing.

Non posso partire senza prima bere un caffè decente. Vado allora in una specie di bar-fattoria, appena fuori dal centro abitato, coi polli, le zanzare tigre ed una signora antipaticissima che serve il caffè migliore nel raggio di 10 chilometri. È proprio ora di partire.

Guido per un paio d’ore senza fermarmi fino a Da Dia, una scogliera fatta di rocce esagonali, un po’ come quelle che ci sono in Irlanda. Me le ha consigliate Andrea-dalla-svizzera, tramite una sua anonima amica vietnamita.

Grazie anonima vietnamita.

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Per raggiungere la scogliera bisogna guidare per una quarantina di minuti attraverso una serie di borghi, lungo una strada piena di buche (più tardi scoprirò di essermi perso questo ponte da paura, nooo!). Col cavolo che vedrei questo posto se non avessi la motocicletta! All’arrivo un gruppetto di ragazzini mi circonda e mi regala un paio di conchiglie prese dalle loro ceste.

« No money, no money » mi ripetono.

Appena ne prendo una più carina, però, ecco che il più sveglio dei tre mi chiede dei soldi, qualcosa come venti centesimi d’Euro. Ah canaglia! Glieli do, sorprendendo gli altri ragazzini, che adesso pensano che avrebbero potuto guadagnarci qualcosa anche loro.
Mi mostrano altre conchiglie, ma è tardi e me ne devo andare! Il Sole è già basso sull’orizzonte ed ho un boato di strada ancora da percorrere.

Entro nel parco, butto le conchiglie gratis, quindi bruttine, ed arrivo alla scogliera.

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C’è un po’ di gente, ma non troppa, solo che sono tutti così impegnati a farsi i selfie e me ne trovo sempre uno davanti. Una ragazza mi si mette vicino e si fa una foto con me. boh, ok. Mi giro e c’è una ragazza con una reflex che fa foto all’amica. C’è persino una coppia di sposi che aspetta annoiata che gli altri se ne vadano per farsi la foto sdolcinata del bacio sulla scogliera con tanto di velo da sposa al vento. L’assistente del fotografo lo lancerà in aria prima di ogni scatto.

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Mentre vado via scopro una biforcazione lungo il sentiero. Porta verso il lato più esposto della scogliera e la parte più bella del parco…

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Torno al parcheggio. I ragazzini sono ancora lì e stavolta sono davvero una seccatura. Hanno adocchiato le lanterne che ho comprato a Hoi An, legate dietro la moto, ed insistono che apra. Faccio partire la moto mentre loro ancora provano a convincermi e torno alla mia bella strada piena di buche.

Dovrei tornare alla strada principale, per poter andare veloce e recuperare tempo, ma sono in vacanza ed ormai è tardi comunque. Alla prima occasione svolto verso sud e continuo lungo strade terrose. Percorro forse un chilometro che un percorso stretto tra campi di riso mi invoglia all’ennesimo off-road… praticamente un off-road dell’off-road.

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Spavento un gruppo di papere che scappano urlando (‘quaaack! quuuaaaaaack!’) e faccio l’ennesima foto: natura morta con Honda Kerouac… mi ci sto affezzionando troppo!

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Basta, me ne devo andare da qui altrimenti non arrivo più, potrei passare anche mezz’ora a contemplare il campo di riso coi bisonti che ci pascolano sopra. Mi rimetto in sella deciso a recuperare quanta più strada possibile. cinque chilometri più avanti attraverso un ponte, sospeso tra un tramonto ed un istmo in lontananza a ridosso dell’oceano. e c’è uno strano suono nell’aria, come se ci fosse un minareto da qualche parte con il megafono rotto che inonda lo spazio con un suono denso e costante. Mi fermo di nuovo e lascio che mi faccio pervadere da quest’atmosfera irreale.

Un motorino mi scorre davanti ricordandomi del mio proposito di non viaggiare dopo il tramonto, ma non posso semplicemente andarmene adesso; voglio esplorare questo posto. Subito dopo il ponte imbocco una strada che scende lungo lo specchio d’acqua, lì dove sono attraccate le barche dei pescatori.

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Il tempo di scattare qualche foto ed un gruppo di bambini usciti dalla scuola mi circonda. Io sorrido, dico ciao in vietnamita e loro rispondono in coro… fine del repertorio. Io ed il maestro, un signore pacifico in piedi dietro i bambini, ci scambiamo un’occhiata sul da farsi. Sollevo le spalle, saluto la classe e riparto.

Devo essermi confuso con la mappa, perché mentre cerco di tirare dritto un ragazzo si sbraccia per dirmi di tornare indietro, che la strada è un vicolo cieco. Torno allora al ponte imbocco di nuovo una strada secondaria… l’ennesima deviazione, perché ormai è tardi comunque.

Sbaglio strada e sono di nuovo in un vicolo cieco, ma davanti al mare stavolta. Parcheggio la moto mentre un paio di famiglie sparse lungo lo spiazzo mi osserva da lontano e cammino verso la spiaggia. Il tempo è troppo brutto per godersela, ci sono giusto un mucchio di ‘barche a cesta’ (basket boat), tipicamente vietnamite, ma a dirla tutta anche abbastanza simili alle Coracle gallesi.

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Mi rimetto in sella lungo la strada che comincia adesso a restringersi sempre di più, fino a diventare qualcosa come nemmeno due metri sabbiosi… troppo sabbiosi! Devo procedere a passo d’uomo coi piedi pronti ad appoggiarsi a terra, semmai dovessi cadere. Scavalco un mucchio di sabbia più alto ed ecco che la moto mi scivola da un lato. Riesco a restare in piedi per miracolo, guardo avanti e mi scambio un “wow!” eccitato con un tizio che per caso mi stava camminando contro per andare chissà dove. Siamo entrambi sorpresi che non sia finito col sedere a terra.

La deviazione si immette sulla strada che proseguiva dal ponte e poi finalmente di nuovo sulla strada principale: asfalto.

Noioso, noiosissimo asfalto.

 

 

CANZONE DEL GIORNO: Burning Leaves, Matthew Austin

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