Vang Vieng

È impossibile sentirsi in Laos a Viang Vieng. La città è un susseguirsi di ostelli, bar, club, dubbie massaggiatrici in abito da sera e chi più ne ha più ne metta.
Presto o tardi una ragazza si avvicinerà con un blocchetto di coupon per invitarmi a bere whiskey gratis a questo o quel posto (che comunque non è whiskey, ma blando vino di riso). La ciliegina sulla merda sono i menù ‘speciali’, per bere uno shake misto erba, oppio o quant’altro.
Immagino che anche questo faccia parte dell’esperienza Laos. Bolla turistica Laos, per essere più specifici. Vang Vieng è la città dei balocchi.

Che brutta invenzione il turismo! Una delle industrie più malefiche! Ha ridotto il mondo a un enorme giardino d’infanzia, a una Disneyland senza confini. Presto anche nella vecchia, remota capitale reale del Laos sbarcheranno a migliaia questi nuovi invasori, soldati dell’impero dei consumi e, con le loro macchine fotografiche, le loro implacabili videocamere, gratteranno via quell’ultima naturale magia che lì è ancora dovunque.

— Tiziano Terzani, Un indovino mi disse (1995)

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Stamattina ho provato a chiacchierare a proposito di questo con altri backpacker, mentre facevamo colazione all’ostello. La conversazione è morta all’istante. Mi alzo, cambio tavolo per prenotare l’ostello per stanotte e li sento chiacchierare animatamente di quanto si sono devastati ieri sera.
« Erano anni che non vomitavo così » dice una ragazza. Il ragazzo seduto di fronte a lei scorreggia rumorosamente e tutti ridono. Mentre io scalo il Pha Ngeun per godermi il tramonto sopra i campi di riso, questi giovani turisti si alcolizzano a morte su ciambelloni gonfiabili lungo il fiume.

Ieri un ragazzo mi ha chiamato nonno. Ah, ma se è così io lo prendo come complimento, sai? (segue immagine da paura)

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L’idea di includere il Laos nel nuo viaggio nel Sud-Est asiatico l’ho avuta proprio dal libro di Terzani:

Il Laos non è un posto, ma uno stato d’animo, […] uno dei luoghi più romantici e quieti dell’Asia, uno degli ultimi rifugi del vecchio fascino d’Oriente. […]
Senza un accesso al mare, al riparo di impervie montagne che lo isolano dalla Cina e dal Vietnam, protetto dal Mekong che lo separa dalla Thailandia, senza un singolo ponte che unisce le due rive, il Laos […] ha continuato nel suo antico, distaccato ritmo di vita.

[…] C’è qualcosa di unico e di poetico nell’aria: le giornate sono lunghe e lente e la gente ha una quieta dolcezza che non si trova nel resto dell’Indocina. I francesi, che conoscevano bene i popoli delle loro colonie, dicevano: «I Vietnamiti piantano il riso, i Khmer li stanno a guardare e i Lao ascoltano il riso che cresce»

Ieri ho attraversato in bicicletta il ponte di legno a sud di Vang Vieng, insieme ad una carovana di dune buggy. Una volta che si sono tolti dalle palle e a dieci minuti dal paese già sembrava di essere lontani mille miglia. Senza il rumore dei motori resta solo quello del paesaggio… muggiti, cinguettii, il frusciare di campi di riso incredibilmente verdi. La bicicletta è il mezzo perfetto per gustarsi la campagna.

Ad essere imparziali bisogna dire che anche Terzani girò il Paese visitando posti e facendo cose turistiche, come scalare il monte Phou Si a Luang Prabang e vedere la Piana delle giare, fino alle escursioni a dorso di un elefante (« La mattina del primo gennaio 1993, per aggiungere simbolismo alla mia decisione [di non volare per un anno ndr], volli fare i primi passi nell’anno nuovo a dorso di un elefante. »). Il tutto con il solo vantaggio, o scusante, di essere un po’ in anticipo sulla massa che ha inevitabilmente finito per rovinare intere città e deviato economie locali.

La critica di Terzani al turismo ed alla globalizzazione la condivido in pieno (gran parte dei turisti sono solo degli zoticoni ignoranti), ma ha anche un leggero sentore di ipocrisia… o si aspettava davvero di essere l’unico a voler viaggiare in questi posti?

Ecco ad esempio cosa scriveva di Luang Prabang:

All’alba avevo rivisto lo struggente spettacolo di centinaia di bonzi che escono dal loro monasteri e sfilano lungo l’acciottolato della via principale per ricevere le offerte di cibo dalla popolazione inginocchiata sui marciapiedi.

Questa cosa esiste ancora, con l’unica differenza che adesso ci sono più stranieri ad assistere alla processione.

Se ho letto 5, forse 6 dei suoi libri è proprio per la possibilità di imparare qualcosa di vero sull’Asia, ma bisogna anche dire che il Laos ha problemi più grandi della preservazione del fascino esotico: malattie come la Malaria sono molto diffuse e la stragrande maggioranza della popolazione non conosce nemmeno l’inglese più basico.

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Quando con la mia bella bicicletta sono arrivato alla grotta Tham Poukham, ho scoperto ad esempio un centro dove i turisti consapevoli (questa parola comincia ad annoiarmi) possono insegnare l’inglese ai bambini del posto. La scuola include un piccolo ristorante, usato per sovvenzionare ulteriormente la scuola.

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L’ingresso del grotta di Tham Poukham lascia entrare abbastanza luce da poterla visitare senza troppi problemi. Decido di seguire il percorso indicato dalle frecce e sbuco in un’altra apertura immersa nel buio più totale. Punto la torcia ai miei piedi, per vedere dove cammino e noto una quantità di strani insetti (una via di mezzo tra i grilli e gli scarafaggi) che saltano via quando gli cammino vicino.

L’unica luce naturale è sullo sfondo, nel punto in cui sono passato per entrare qui, ma la foschia è così densa da non lasciarla passare. Spengo la mia torcia e provo a fare una fotografia con lunga esposizione. Niente. Spengo la macchina fotografica e resto al buio per qualche minuto, per ascoltare il rumore della grotta. L’acqua gocciola copiosa dal soffitto, credo di sentire anche il leggero cicaleggio degli insetti. Mi è piaciuto così tanto che l’ho registrato…

Il sole tramonta tra una mezz’ora. È già troppo tardi per tornare prima che faccia buio. Me la prendo comoda allora e faccio un bagno alla laguna blu (che poi è verde) ai piedi della collina. Lascio asciugare un po’ i pantaloncini zuppi di sudore e torno in sella in costume. Mi fa un po’ schifo indossare la maglietta, ma mi sono già arreso ad essere sporco e puzzolente. Poi i Laotiani credo preferiscano restare a spalle coperte.

Lungo la strada incrocio altra gente in bicicletta e a piedi. Molti gruppetti di bambini, di forse 5 o 6 anni, se ne va tranquillamente al buio sul ciglio della strada, mentre io agito la torcia alle mie spalle ogni volta che sento un motore alle spalle.
L’unica luce the i Laotiani si preoccupano di avere è quella dello schermo del cellulare, altro che magia dell’estremo oriente! Qui ci sono solo io a guardarmi intorno e alla Luna.

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[…] È di nuovo a causa della sua posizione geografica che oggi il Laos, pur con la pace, non può fare la vita che vuole, ed è costretto a diventare «moderno» […] per salvarlo dal sottosviluppo, i nuovi missionari del materialismo e del benessere economico lo stanno distruggendo.

[…] Copiare quel che è «nuovo», quel che è «moderno», è diventato un’ossessione, una febbre per la quale non esiste cura. […] Al primo segno di benessere, i bei materiali locali vengono sostituiti con quelli sintetici e i tetti di paglia rimpiazzati con quelli di bandone. […] volevo rivedere il Laos prima che anche lui, vent’anni dopo, diventasse un posto come tutti gli altri: illuminato al neon, invaso dal cemento e dalla plastica.

No Tiziano, pace all’anima tua, ma se c’è una chiosa da fare è proprio a riguardo questa storia dei neon: consumano meno delle lampadine normali e qui la gente è povera. Se ci tenevi tanto potevi pagargli tu la bolletta della luce. Non mi sembra che i Laotiani si facciano così tanti scrupoli a buttare giù tutto, pur di vivere anche loro un briciolo di quel benessere che siamo proprio noi viaggiatori ad ispirare. Vendergli il ‘loro’ stile di vita in nome della poesia sarebbe da disonesti. L’unica cosa che si può fare è trattare questa gente con rispetto, incluso quello di lasciare queste decisioni a loro, senza ovviamente tapparsi la bocca all’impulso di esprimere un’opinione. Argomentazioni nobili, certamente, ma fuori tempo massimo ed irrealistiche.

Nelle campagne ci sono varie catapecchie con tuk-tuk parcheggiati davanti, perhé guidare un pulmino è molto più conveniente che zappare la terra. Di certo meno bucolico, senza contare il numero di turisti balordi con cui bisognerà avere a che fare, ma comunque la scelta più sensata. È una semplice questione di mercato: la domanda genera l’offerta.

La ‘quieta dolcezza’ che hai descritto l’ho trovata nel receptionista dell’ostello-baraonda, proprio quello dove sui muri c’erano appesi gli avvisi di non drogarsi o scopare nei dormitori, pena multa o detenzione, o nella signora della bettola dove ho pranzato qualche ora fa, quando senza che me ne accorgessi mi ha acceso un ventilatore vicino. Le ho detto « kopchai lalaa! » (grazie mille) sventolando una mano davanti la mia faccia sudata e abbiamo riso insieme.

Insomma, c’è speranza solo se i Laotiani smettono di vivere nel fango e prendono in mano il destino della loro vita e Paese e per farlo devono progredire più velocemente di chi cerca di sfruttarli, turisti compresi.

 
PAROLA DEL GIORNO (lao): sabadee tonshao (buongiorno)

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