Rumore

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La distanza tra Hanoi e Luang Prabang (peraltro in modalità festival) non è solo fisica… è la velocità, la scaltrezza, le espressioni sul volto della gente… il rumore! Ma andiamo per gradi.

Al confine, la guardia Vietnamita mi intima di aprire lo zaino. Svuoto la tasca superiore. Adesso questa, continua indicando sempre nello stesso punto. Ah, ma allora cerca qualcosa, ma certo Agente. Adesso punta alle mie carte da gioco… che ci sia un problema con il gioco d’azzardo in Vietnam? Apro il pacchetto e gli mostro le carte.

« sono carte da Scopa »
L’ufficiale mi indica un suo collega alle mie spalle.
« dalle a lui »
E che palle.
« …souvenir! » Aggiunge ridendo.
ah, canaglia, ma allora voleva solo vedere se nello zaino c’era qualcosa che gli interessava! Mi giro verso la guardia alle mie spalle.
« ma tu ci sai giocare a Scopa? »
La guardia guarda l’ufficiale, che traduce. Non ha la minima idea di che cosa stia parlando. Abbandona l’idea di rubarmi confiscarmi le carte e punta ai miei preservati colorati.
« …sono preservativi alla frutta »
Ne prende uno di quelli blu (che frutto sarà?) e prova ad annusarlo attraverso l’involucro. Genio.
« limone, arancia… dai prendine un paio »
(si, ho appena offerto preservativi blu da 56 mm ad un ufficiale vietnamita)
Mi lasciano rimettere tutto a posto e me ne vado. Le mie carte da scopa sono salve, senza contare i preservativi blu occidentali che alla guardia gli sarebbero andati probabilmente un po’ larghi.

Avrei dovuto volare ad Hanoi (in un’ora per 90 €), ma la Visa mi chiede il codice di conferma inviato al mio numero di cellulare, che non ha campo da quando sono in Laos. Long story short, il volo non l’ho potuto comprare e sono finito in un autobus puzzolente e da rottamare che per soli* 45 € e 31 comodissime* ore attraverso strade sterrate mi ha portato ad Hanoi.
Ho combattuto tra l’idea di suicidarmi, per via della mancanza di aria condizionata in quei 30 gradi umidi, appiccicosi e puzzolenti, e l’idea di irrompere negli uffici Visa con un’arma semiautomatica, per via che letteralmente è piovuto dentro l’autobus.

Le ultime ore le abbiamo passate in un nuovo autobus, decente questa volta, ma non prima di aver aspettato mezz’ora sotto la pioggia in un’indefinita città a sud di Hanoi. L’attesa non mi ha disturbato più di tanto, perché mi ha permesso di avere una prima impressione di quello che un po’ tutti mi hanno ripetuto dello stile di guida in Vietnam: motorini, biciclette e tir con rimorchio attraversano col rosso senza rallentare (non che vadano così veloci dopotutto), ma suonando il clacson. Lo suonano sempre. Sempre, anche quando non ce n’è bisogno, tipo riflesso condizionato. È un’abitudine fastidiosa, o forse sono le mie già 24 ore di viaggio e notizia di altre 7 ore davanti a noi a rendermi ipersensibile.

Adesso che scrivo è il giorno dopo. Sono appollaiato all’ottavo piano dell’ennesimo ostello per backpacker a fare colazione e dalle strade, oltre le fronde degli alberi che ne impediscono la vista, salgono rumori di innumerevoli clacson. Forse al mattino pure gli uccellini suonano il clacson ad Hanoi.

 
CANZONE DEL GIORNO: The Everyday Push, Photai

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