thuoc lao

Wild tobacco is a very different beast from its modern, tamed descendant. […] It tops out at around 9 percent nicotine, compared with 1 to 3 percent nicotine for the Nicotina tabacum used to make your average pack of Marlboros or Camels or whatever.

[…] My eyes watered, my nose and throat burned and by the time I was done I could barely stand. To say I was light-headed would be a vast understatement. I felt like someone had pulled the core out of my body and left me a hollow and weightless shell in its place. I was nicotine drunk – there was no other word for it.

Robert Evans – A Brief History of Vice: How Bad Behavior Built Civilization (2016)

Walking around the Old Town Hanoi, you’ll soon notice that at about every corner people of all ages smoke from a bamboo water pipe. I initially thought it was an opium pipe, but the smoke didn’t smelled like it at all. I had to wait until being in Cat Ba island to find out what was it.

One of the old guys of the Hostel (which doesn’t speak a word of english, by the way) start repeating a word to me: thuoc lao.

« thuoc lao. »

« thuoc lao. »

« Ok, I got it… »

« thuoc lao » (now laughing)

« ok! thuoc lao!!! »

« thuoc lao. »

« thuoc…

I was about to reach for his back, looking for the switch to turn off the guy. He was stuck.

The pipe is called Dieu Cay and it works like a bong, with the only difference that there is no hole for the air release. You’ll need to load the pipe with smoke, then blow in it to make the tobacco cap pop out (and by doing so opening an air way) and finally inhale as much as you can.

You get a hell of a kick.

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Your limbs becomes weightless and you can’t help by leaning on your back and whisper « wow. ».

Nothing makes you more relaxed quicker than that. Just beware, cause the tobacco is strong as F. It will, oh yes it will, brutally scratch your throat and leave you literally breathless.
Unlike weed, the effect lasts less than a minute and after another two more you’re back in control, able to drive and bla.

« thuoc lao. »

« thuoc lao. »

« thuoc lao. »

 
WORD OF THE DAY (Vn): thuốc lào (Wild tobacco – Nicotiana rustica)

Cat Ba (baia di Ha Long)

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La baia di Ha Long conta qualcosa come 1600 isole e isolotti. Oggi, il nuovo gruppo all’ostello (si creano spontaneamente, ogni volta che mi sposto in un posto nuovo) ha affittato una barca, ma avevo bisogno di muovermi al mio ritmo, così ho guidato fino al molo di Bến Bèo e fatto portare in barca fino alla stazione galleggiante dei kayak.

« gira attorno all’isola… » mi dice il tipo della stazione « altrimenti ti perderai »

Effettivamente dopo qualche svolta qua e la per la baia è facile perdere l’orientamento. Ci sono davvero tanti, ma tanti isolotti e dopo un po’ sembrano tutti uguali, ma con qualche buon punto di riferimento si riesce a tornare indietro. Purtroppo non ho una borsa impermeabile, per portare la macchina fotografica con me. C’è comunque abbastanza materiale su internet per farsene un’idea:

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Ci sono case galleggianti un po’ dappertutto e su ognuna almeno un paio di cani, che abbaiano ogni volta che mi avvicino con il kayak.

Una donna esce dalla sua bella baracca. Le gesticolo che voglio mangiare e lei dice di proseguire. Alla terza baracca trovo chi mi cucine degli instant noodles che sono abbastanza schifosi, ma riempiono la pancia. Qualsiasi interazione (servire il cibo, passarmi il conto, propormi un caffè) è accompagnata da una parola sola, ripetuta un qualcosa come 100 volte in mezz’ora: « okay ».

Il tipo mi serve del té « okay? ». Lo rifiuto e lui di tutta risposta mi porta della vodka « okay? ».
Okay.

Mi riposo un attimo, poi mi rimetto sul kayak. Nel frattempo si sono fatte circa le 2p e c’è una bonaccia perfetta per pagaiare senza troppo sforzo. In gran parte delle baracche galleggianti la gente schiaccia un pisolino, pure i cani dormono e mi lasciano stare. Non sono poi questo grande sistema di sicurezza dopotutto.

Molte chiatte hanno un numero di vasche di rete che sembrano vuote. Su una in particolare un ragazzo ci butta butta palate di piccoli pesci e l’acqua che fino ad un momento fa era immobile diventa un delirio di grossi pesci scuri che si dimenano per accaparrarsi la loro porzione.

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Gli isolotti sono quasi tutti a strapiombo sul mare, ma ne trovo uno abbordabile. Attracco con il kayak, e decido di esplorarlo. A quanto pare non sono il primo a farlo… la vegetazione è stata tagliata e stretta per ricavarci un passaggio. Arrivo in un piccolo spiazzo con una serie di scatole di legno rialzate su dei paletti. Su ognuna di loro c’è un pezzo di lamiera a mo’ di coperchio con su una pietra.

Penso di tutto… api, serpenti, minuscoli alieni con sette zampe… ne apro una. Milioni di formiche ne escono fuori impazzite e dentro è uno schifo indicibile fatto di piccole larve bianche.
Quest’isola è un pacco.

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Ritorno sul kayak, mi ci sdraio sopra e mi faccio cullare per un po’ dalle onde. Cavolo, è già ora di tornare. Dimentico le flip-flops ed in un’ora sono di nuovo al molo.

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Guido in moto fino al centro dell’isola e raggiungo il parco nazionale, ma è troppo tardi per visitarlo (la storia della mia vita). Sulla strada del ritorno do un passaggio ad una turista russa un po’ tonta… il sole tramonta tra un’ora e a piedi ne ne avrebbe messo quantomeno il doppio. Insomma torniamo in città insieme , la mollo da qualche parte nella parte alta. Riparto, faccio 100 metri e la moto mi muore. Di già?

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Ho una fame da lupi. Abbandono la moto e mangio un boccone in una bettola con vista. ho appena comincaito a masticare che intravedo il ragazzo che condivide il dormitorio con me, Tim, in sella al suo scooter. Grido il suo nome e per fortuna si ferma. Gli dico della moto, lui che sta andando a vedere il tramonto.
Ok, la moto può aspettare.

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La strada l’ha trovata per caso, cercando di raggiungere il ripetitore. Appena il sole tramonta la luce diventa di un rosa così intenso da riflettersi sulle montagne, sulla nostra pelle, su tutto. Mai vista una cosa così…

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P.S. La moto mi funzia di nuovo

 
CANZONE DEL GIORNO: She’s a maniac (Flashdance)

Hanoi > Cat Ba

Oggi avrei voluto scrivere di Hanoi, di quanto mi fosse piaciuta la città vecchia e della strana sensazione, dopo 6 notti, di essere diventato prigioniero di quel posto. Niente di tutto questo. Oggi è stata un’avventura.

Il karma mi è stato avverso per giorni: pioggia, intempestività, mal di gola, ore ed ore buttate al vento, poche emozioni e troppa carne. Forse perché il tassista mi ha dato il resto sbagliato (a mio vantaggio) e no gliel’ho fatto notare? No. Tutto questo è servito a bilanciare questa giornata meravigliosa (e comunque no, non ci credo al karma, almeno non nel senso tradizionale del termine, ma sto divagando).

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Ho comprato una Honda Win Detech da 110cc per circa $ 250. La prima motocicletta che abbia mai avuto. Lascio il maledetto ostello alle 9, sistemo lo zaino sul portapacchi ed il cellulare su un gadget da manubrio, così per usarlo come navigatore. Nemmeno un’ora più tardi, mentre abbasso lo sguardo per l’ennesima volta per controllare il percorso, mi rendo conto che il cellulare non c’è più. Merda, ho dimenticato di stringere il fermo e il cellulare è sbalzato via dalla moto lungo l’autostrada… eppure un attimo prima c’era!
In Vietnam il codice della strada è un’opinione (no, non è una battuta), così posso fare inversione di marcia e percorrere l’autostrada in senso contrario, sul ciglio, nell’inutile tentativo di ritrovare il costoso mattoncino.
Mi fermo alla stazione di benzina e chiedo una mappa, ma nell’era dei cellulari e dei GPS una mappa cartacea è impossibile da trovare. Questo lo saprò per certo 2 supermercati, 3 librerie ed innumerevoli stazioni di benzina più tardi.

 

 
Arrivo a Hai Duong senza troppi problemi. Uso il computer per decidere il percorso da qui in avanti e noto una strada secondaria, un po’ più lunga della AH14, ma che promette bene. Quello che fino a quel momento è stato un percorso abbastanza noioso diventa una gioia per gli occhi (e per i polmoni, data l’assenza dei tir). Palme, campagne sconfinate, vacche, bisonti, cimiteri con lapidi a forma di padoga e chi più ne ha più ne metta. Ho un contatto d’occhi praticamente con ogni persona che incrocio. A volte sorridono. Ogni tanto, quando guido abbastanza piano, un bambino azzarda un “Hi!” o “Hey!” a seconda dei casi.

Mi perdo dolcemente… poi mi perdo e basta.

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Ho imparato a dire “mappa” in vietnamita (qualcosa come “bán doooo”) e cerco di farmi aiutare dalle poche persone che incrocio. Uno in particolare gesticola con decisione di seguirlo, nonostante non gli abbia nemmeno detto dove stia cercando di andare. Arriviamo alla riva del fiume e mi fa capire che dobbiamo aspettare la chiatta, un coso rugginoso che aspetta solo me per affondare. Cerco di farmi mostrare la posizione sul suo cellulare, ma lui rifiuta. Mi guardo intorno… le altre persone attorno a noi mi osservano alcune divertite, altre con fare indagatore. Non mi sembra di avere molta scelta.

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Dall’altra parte, a parte una scena che non ho capito – dove la signora che riscuoteva il pedaggio voleva che abbracciassi una sua amica timida (boh) – sono arrivato senza troppi problemi a Hai Phong (che letto suona come ‘iPhone’, tanto per ricordami che il mio sta ancora in autostrada).
Cibo, caffè e pure wi-fi, solo per scoprire che probabilmente ho perso l’ultimo traghetto per Cap Ba.

Devo arrivare subito al molo. Ritorno in sella, ma finisco in un cantiere fangoso, una cosa pazzesca. Avanzo piano, in mezzo a qualcosa come altri 50 motorini. Appoggiare i piedi a terra significa affondare le scarpe nella melma, ma non ho scelta. Un operaio è in una pozza con l’acqua che gli arriva in vita. Faccio un centinaio di metri, poi rinuncio. Un furgoncino ha però chiuso la via del ritorno. Batto con la mano sulla fiancata « ma lo sposti ‘sto coso?! ». Dato che nessuno parla nemmeno l’inglese, parlo in italiano con tutti.
Scavalco un ammasso di fango secco mentre bestemmio la madonna e la madre del tizio, che intanto se la ride… il vantaggio della barriera linguistica. Corro dall’altra parte della città, verso un altro molo, ma sono di nuovo troppo in ritardo. C’è però un’autobus parcheggiato lì davanti con su scritto ‘Cat Ba’ …che però è un’isola. « Cat Ba » grida il controllore, in piedi alla porta del bus. « Cat Baaa! » ripete e mi fa vigorosamente segno di seguirlo.

Adesso… seguire un’autobus può sembrare una cosa facile, ma qui in Vietnam ci sono strade riservate a macchine e mezzi pesanti e altre ai motorini. Di solito corrono parallele ed hanno un traffico indipendente le une dalle altre. Mentre il mio autobus sfreccia a 60 all’ora, io mi blocco in un mercato del pesce in mezzo alla strada. La merce sta su dei teli messi sull’asfalto e le marmitte dei motorini scaricano direttamente sul pesce. No, davvero, vaffanculo a tutti, se perdo l’autobus mi tocca dormire in questo schifo di città. Con la moto faccio manovre tali da scandalizzare persino i vietnamiti (sto già diventando bravino con la moto) e riesco a raggiungere di nuovo il mio autobus, che mi porta fuori città nel bel mezzo del nulla.
La città è sparita, ci siamo solo io, il bus e e polvere da cantiere. La strada ha 8 corsie immacolate, per un rettilineo di forse 10 chilometri. Alla fine ci immettiamo su un lunghissimo e nuovissimo ponte che quasi collega Cat Ba alla terraferma, per altri 5-7 chilometri. Comincio a preoccuparmi di non avere abbastanza carburante. Busso sul serbatoio e lo sento vuoto. Meglio non pensarci, mi dico… ho comunque di che distrarmi.

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Il paesaggio è bellissimo. Le barche e le palafitte si perdono nel bianco ovattato fatto d’acqua e di nuvole. Una cosa mai vista. Persino il Sole ne è inghiottito, lo posso fissare senza farmi male agli occhi. È tutto insieme così pulito e sporco che non riesco nemmeno a fotografarlo decentemente. La luce è morbida ed io mi metto a cantare Lucio Battisti a squarciagola senza nessun motivo, a parte quello di sentirmi libero e felice.

Mi fermo per fare qualche fotografia e vedo l’autobus sparire sul fondo.

Grazie autobus.

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Il sole è quasi tramontato. Corro verso la fine del ponte e trovo la strada per il molo. Sono così ansioso di non perdere il traghetto che passo l’ingresso in velocità mentre la guardia mi grida « Ticket!!! ». Venti minuti più tardi sono sull’ultimo traghetto per Cat Ba, € 0.90 inclusa la moto.

Davanti la cabina del comandante c’è una terrazza, dove conosco tre vietnamiti in vacanza sull’isola. Anche loro sono eccitati e direi anche un po’ buffi. Ci siamo subito simpatici. Solo uno di loro parla più o meno inglese, con gli altri bisogna usare il traduttore.
Arriviamo sull’isola e decidiamo di raggiungere la città insieme. Una corsa in moto di mezz’ora nella notte e sono a dormire. Zzzzzzzz

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PAROLA DEL GIORNO (VN): bản đồ (mappa)

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The Banana Pancake Trail is the name given to growing routes around Southeast Asia travelled by backpackers and other tourists. The Trail has no clear geographical definition. […] It is a metaphor to describe the ever-developing travellers’ trails in South and Southeast Asia, rather than an actual route or road.

 
WORD OF THE DAY (Vietnamese): em ơi!
(lit. ‘hey boy!’. Used all the time for getting someone’s attention, e.g. waiters and basically anyone – younger than you – in the streets)

Rumore

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La distanza tra Hanoi e Luang Prabang (peraltro in modalità festival) non è solo fisica… è la velocità, la scaltrezza, le espressioni sul volto della gente… il rumore! Ma andiamo per gradi.

Al confine, la guardia Vietnamita mi intima di aprire lo zaino. Svuoto la tasca superiore. Adesso questa, continua indicando sempre nello stesso punto. Ah, ma allora cerca qualcosa, ma certo Agente. Adesso punta alle mie carte da gioco… che ci sia un problema con il gioco d’azzardo in Vietnam? Apro il pacchetto e gli mostro le carte.

« sono carte da Scopa »
L’ufficiale mi indica un suo collega alle mie spalle.
« dalle a lui »
E che palle.
« …souvenir! » Aggiunge ridendo.
ah, canaglia, ma allora voleva solo vedere se nello zaino c’era qualcosa che gli interessava! Mi giro verso la guardia alle mie spalle.
« ma tu ci sai giocare a Scopa? »
La guardia guarda l’ufficiale, che traduce. Non ha la minima idea di che cosa stia parlando. Abbandona l’idea di rubarmi confiscarmi le carte e punta ai miei preservati colorati.
« …sono preservativi alla frutta »
Ne prende uno di quelli blu (che frutto sarà?) e prova ad annusarlo attraverso l’involucro. Genio.
« limone, arancia… dai prendine un paio »
(si, ho appena offerto preservativi blu da 56 mm ad un ufficiale vietnamita)
Mi lasciano rimettere tutto a posto e me ne vado. Le mie carte da scopa sono salve, senza contare i preservativi blu occidentali che alla guardia gli sarebbero andati probabilmente un po’ larghi.

Avrei dovuto volare ad Hanoi (in un’ora per 90 €), ma la Visa mi chiede il codice di conferma inviato al mio numero di cellulare, che non ha campo da quando sono in Laos. Long story short, il volo non l’ho potuto comprare e sono finito in un autobus puzzolente e da rottamare che per soli* 45 € e 31 comodissime* ore attraverso strade sterrate mi ha portato ad Hanoi.
Ho combattuto tra l’idea di suicidarmi, per via della mancanza di aria condizionata in quei 30 gradi umidi, appiccicosi e puzzolenti, e l’idea di irrompere negli uffici Visa con un’arma semiautomatica, per via che letteralmente è piovuto dentro l’autobus.

Le ultime ore le abbiamo passate in un nuovo autobus, decente questa volta, ma non prima di aver aspettato mezz’ora sotto la pioggia in un’indefinita città a sud di Hanoi. L’attesa non mi ha disturbato più di tanto, perché mi ha permesso di avere una prima impressione di quello che un po’ tutti mi hanno ripetuto dello stile di guida in Vietnam: motorini, biciclette e tir con rimorchio attraversano col rosso senza rallentare (non che vadano così veloci dopotutto), ma suonando il clacson. Lo suonano sempre. Sempre, anche quando non ce n’è bisogno, tipo riflesso condizionato. È un’abitudine fastidiosa, o forse sono le mie già 24 ore di viaggio e notizia di altre 7 ore davanti a noi a rendermi ipersensibile.

Adesso che scrivo è il giorno dopo. Sono appollaiato all’ottavo piano dell’ennesimo ostello per backpacker a fare colazione e dalle strade, oltre le fronde degli alberi che ne impediscono la vista, salgono rumori di innumerevoli clacson. Forse al mattino pure gli uccellini suonano il clacson ad Hanoi.

 
CANZONE DEL GIORNO: The Everyday Push, Photai