Hanoi – Saigon

Ordino un caffè con ghiaccio e fumo un’altra sigaretta. Non dovrei, ma con tutto lo smog che ho nei polmoni credo sia il male minore e poi, hey, chissà che i fumi non si annullino a vicenda. Oltretutto qui le sigarette costano qualcosa come € 0.4 e che fai, non le compri?

Sono partito da Mui Ne il giorno prima di arrivare a Saigon, dormendo una notte a Vũng Tàu, un posto inutile che non vale la pena di raccontare. Nonostante la strada fosse parzialmente lungo la costa, a parte qualche pineta lungo il percorso, il viaggio è stato piuttosto monotono. Speravo in qualcosa di più entusiasmante per la mia ultima corsa in moto.

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Mi fermo a La Gi, mangio un Banh Mi (e dai, ormai dovreste saperlo cos’è) ed una birra. Me la serve un gruppo al tavolo di una bettola e mi offrono un po’ del loro cibo, così mi siedo con loro. Mastico per qualche secondo, poi sputo.

« cá? »

(pesce?) chiedo mortificato.

Annuiscono.

Gli faccio cenno di darmi un secondo. Tiro un sospiro e dallo zaino il biglietto dove mi sono fatto scrivere che sono intollerante al pesce.

« ohh » e mi passano un altra cosa.

Mastico, poi sputo di nuovo.

« cá??? »

Annuiscono.

Niente da fare. Gli mimo l’atto di mangiare, mi porto le mani alla gola e faccio finta di non riuscire a respirare.

Ridono.

Ok. Alzo la mia birra in lattina e scandisco « Một, hai, ba, dzô! » (un, due, tre, salute!). Ognuno alza la propria birra divertito. Faccio un brindisi ironico (in italiano) sul fatto che hanno appena provato ad uccidermi e me ne vado.

È già notte e della Luna ne è rimasto illuminato solo uno spicchio, così quando il bastardino nero mi taglia la strada lo vedo solo all’ultimo momento e così lui, che ha deciso di accellerare il passo finendomi proprio davanti. Lo centro in pieno a cinquanta all’ora, sbando, ma resto in piedi sulla moto e freno almeno una decina di metri dopo. Oh, cazzo… l’ho colpito davvero forte.
« Stupido, stupido cane! » blatero scioccato. Torno indietro e la povera bestiola adesso è a pancia in su in mezzo alla strada, mentre mugola impazzita. Una macchina gli passa sopra (senza schiacciarla) e due ragazzini che hanno assistito alla scena mi mimano l’incidente divertiti.
Come in un flash, ricordo improvvisamente la storia che mi ha raccontato, forse solo qualche giorno prima, un altro backpacker che era nella stessa situazione. Lui alla fine decise di uccidere il cane e nel modo più veloce ed indolore… ma non mi va di fracassare il cranio di un cane… forse potrei strozzarlo?
In uno scatto adrenalinico, il cane si soleva e corre via torto, perdendosi nel buio oltre il ciglio della strada. Meglio così. Quando gli scenderà l’adrenalina non credo sarà più in grado di muoversi. Probabilmente morirà di emorragia interna.
Riprendo la corsa in silenzio ed arrivo a Vũng Tàu un paio d’ore più tardi.

Il giorno dopo, insieme ad Andrea-dalla-Svizzera, parto per Saigon (rinominata Ho Chi Minh City dopo la guerra contro gli Stati Uniti) lungo la QL51, una strada pazzesca, piena di camion. Il vento fa scorrere la sabbia sull’asfalto come la luce sul fondo di una piscina. Devo guidare con gli occhi a fessura e mi chiedo se è per questo motivo che gli asiatici si sono evoluti gli occhi a mandorla (ha ha ha, ok.).

Svoltiamo verso l’isola Đảo Long Sơn, ma ci salviamo per una sola mezz’ora… non c’è scampo. Percorriamo di nuovo questa strada pazzesca per almeno un’ora, poi trovo un’altra uscita che porta fino al fiume. Non ho internet per controllare, così semplicemente spero in un battello… una chiatta… Huckleberry Finn su una serie di tronchi legati insieme, per portarmi dall’altra parte.

La leva del cambio della moto di Andrea si rompe e per fortuna è bloccata sulla prima, così almeno possiamo muoverci. Perdiamo una buona mezz’ora guidando quasi a passo d’uomo e fino ad un villaggio, in cerca di un’officina. Quando la troviamo, il meccanico infila un pezzo di plastica nel perno, lo batte dentro con un martello e zak! la moto funziona di nuovo.

Io li amo i meccanici vietnamiti.

Arriviamo al fiume al tramonto e il traghetto c’è per davvero! 3000 VND (€ 0.1) per passare dall’altra parte.

Io li amo i traghetti vietnamiti.

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Se la QL51 mi aveva scioccato, questa non è comunque nulla in confronto con il traffico verso Saigon, dove macchine, motorini e camion col rimorchio confluiscono disordinatamente in strade troppo strette e snodi regnati dall’anarchia. Una nube di polvere e gomma si solleva dall’asfalto ed oscura il cielo. Le luci del riflettori delle macchine si riflettono su milioni di particelle tossiche in sospensione, colorando l’aria di giallo e qualcuno vende cibo sul bordo della strada. La sensazione di essere approdati improvvisamente all’inferno non è affatto esagerata.
Dovrebbero introdurre una nota sulla patente di chiunque sia sopravvissuto a queste strade. Che ne so, una patente B-trattino-Saigon, o cose così. Ho già scritto alla motorizzazione.

È un’esperienza distopica. Mi perdo facilmente nella fantasia di guidare verso la Los Angeles di Blade Runner, e poco ci manca che le macchine qui volino per davvero! Basta! Non ne posso più di stare col culo su una moto.
Insomma, adesso si che ho voglia di venderla… beh, più o meno.

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Trovo un acquirente del giro di ventiquattr’ore. Un ragazzo australiano che non ha la benché minima idea di come si guidi una moto manuale (e se mi stai leggendo, scusa, ma è vero). Me lo porto dietro per una decina di minuti, poi lo lascio provare di nuovo. Niente da fare. Sento che non dovrei dargli la moto, un po’ per via del suo improponibile piano di arrivare ad Hanoi in 2 settimane, un po’ perché speravo in un proprietario migliore per la mia #hondakerouac, ma anche ‘sticazzi. Voglio andare in Cambogia e lui ha i contanti pronti.

Chissà se è ancora vivo.

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Ma passiamo ai numeri, la ragione per la quale ho tenuto un taccuino di viaggio:


940.000 VND / € 35 benzina
340.000 VND / € 13 olio
1.305.000 VND / € 49 riparazioni
80.000 VND / € 3 lavaggi
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2.665.000 VND / € 100

Ho comprato la moto per 5.800.000 VND / € 215 e rivenduta a 6.300.000 VND / € 235

Insomma, per farla breve, l’avventura di viaggiare in moto per più di un mese mi è costata…. 80 euro.

Ok, non ho contato il costo d’imbarco della moto sul traghetto per Cat Ba, Ly Son ed un paio di chiatte per passare questo o quel fiume, ma stiamo parlando di spiccioli, nemmeno dieci euro.

Toh’, facciamo 90 euro.

2000 km d’asfalto, strade da paura (in tutti i sensi), un cane ed un australiano morto ed un bel mic drop per me.

Scusami cane, ma è stata anche colpa tua.

 
PAROLA DEL GIORNO (VN): Tạm Biệt (bye bye)

banh mi joint

I’m not quite sure I should call this a dinner… I guess it was the one I had at sunset? Anyway I was hungry again and decided for a Bánh mì, the vietnamese sandwich with beef, cucumber, carrots and garlic sauce.
The girl that served it to me now sits with a hand on her forehead and eyes. Maybe she’s making some math in her head, or she’s just tired. The hand moves and we make a brief eye contact. I look away and observe the rest of the scene. On the other side of the room, a fatty little girl is staring at her smartphone.
With my eyes I go back to the first girl. Actually there’s another one sat at her table. She’s eating a passion fruit juice with a spoon, dipping the spoon flat on the surface of her drink, so to fill it with pulp and no seeds. I don’t like passion fruit seeds either.
A young guy shows up. He says something that gets completely ignored, so he sits at the table and checks his tablet.
In the middle of the scene, an altar placed on the floor is blinking like a christmas tree. It is supposed to bring good luck, so they say.
A second altar is placed on top of the backdoor, a full-figure of a person in state of bliss with a multitude of LED rays of light running from behind his head.

This place has no quality.

The young guy stands up and disappear behind the backdoor. The little girl is still trying to eat the pulp of her juice. I press the cigarette butt against the empty plate and I leave without saying goodbye.

 
WORD OF THE DAY: Brazen (bold and without shame)

Mũi Né

Quando sono partito da Hanoi un mese fa (ed iniziato il viaggio in Vietnam) ho comprato un taccuino e segnato ogni spesa legata alla motocicletta: benzina, riparazioni, migliorie e cambi d’olio. Oggi alla stazione di benzina appena fuori Mũi Né mi sono reso conto di non averlo aperto da un po’ di tempo. Ho passato più di una settimana a Mũi Né, la mecca dei kite-surfer; col pieno ho potuto calcolare d’aver percorso circa 200 chilometri sul suo lungo mare, che ne misura circa circa dieci.

Mũi Né è stata una vacanza dentro la vacanza.

Ho cambiato quattro ostelli in otto giorni… così, tanto per non perdere l’abitudine a fare lo zaino, ed è proprio tramite gli ostelli che riesco ancora a tenere a mente tutto quello che è successo: questa settimana a Mũi Né è sembrata durare un mese.

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Le prime due notti le ho passate in un resort sulla spiaggia dove ho incontrato di nuovo Jimm e Isabelle, i due ciclisti che ho conosciuto a Bai Xep e continuo ad incontrare lungo il percorso. Questo è un aspetto del viaggio a cui non avevo nemmeno immaginato: la maggior parte dei backpacker visita e dorme negli stessi posti al punto che ormai non mi sorprendendo più quando trovo facce conosciute entrando in un nuovo ostello dopo un giorno passato in motocicletta.

Con Jimm e Isabelle però è diverso: siamo restati in contatto tramite internet e ci siamo dati appuntamento al resort.

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Passiamo un giorno intero a mangiare e perdere tempo sulla spiaggia. Passeggio con Isabelle lungo la riva ed incrociamo una mandria di vacche. Isabelle cerca di avvicinarsi ad un vitello per accarezzarlo, facendole allontanere tutte, poi decide di tornare indietro (Isabelle, non il vitello). Continuo da solo fino alla scogliera, mi arrampico e scopro un paesaggio verde e collinoso proprio a ridosso della spiaggia. Quando torno indietro tutti sono in acqua che provano a surfare. Una volta rientrati in spiaggia io e André (il primo da sinistra nella prima foto) convinciamo Jimm e Isabelle a fare da passeggeri sulle nostre moto per andare a vedere il tramonto dalle dune insieme, a venti chilometri di distanza.

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Ci mettiamo tutti in sella e, boh… sarà che sono uno spericolato, ma mi perdo la seconda moto nell’arco di nemmeno dieci minuti. Isabelle continua a chiedere dov’è che sono finiti ed io essenzialmente me ne frego, perché il Sole non aspetta loro per tramontare e io non ho la minima intenzione di fare tutta questa strada un’altra volta. Sono un po’ egoista, sono un’ po venti chilometri moltiplicati per quattro, ad ogni modo, per quanto mi piaccia avere compagnia, sto viaggiando da solo e non mi va di limitarmi per via di un altro backpacker che non ce la fa a starmi dietro.

Le dune sono una figata, soprattutto adesso che il sole è tramontato e ne arriva solo la luce di riverbero. Ci sono un sacco di dune buggy che scorrazzano su e giù le montagne di sabbia ed io vorrei aver portato una tavola per fare surfboarding in picchiata dalla cima. Comunque sia, la luce va via in fretta e in meno di un’ora, credo, siamo già sulla strada del ritorno.

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Tornati all’ostello facciamo due scoperte… André aveva dimenticato di fare il pieno e la moto si è fermata per strada. Un altro motociclista li ha spinti verso il primo benzinaio, ma era ormai troppo tardi e sono tornati indietro. La seconda e più importante notizia è che ci siamo avventurati incoscientemente lungo la strada più pericolosa del Vietnam e non parlo delle caprette in mezzo alla strada o dei perenni lavori in corso subito dietro ogni curva: a Mui Ne la polizia sta in agguato proprio lungo la strada verso le dune e ferma e sequestra le moto ai backpacker senza pensarci due volte.
Molti turisti guidano senza patente internazionale (me incluso) e per legge scatta il sequestro del mezzo per una settimana ed una multa di 1.200.000 dong (circa 50 euro). A quanto pare non accettano nemmeno una mazzetta per lasciarti andare… dove andremo a finire?!
La nostra fortuna è stata essercela presa comoda e percorrerla a fine giornata quando il far-west era già finito.

Non mi piace l’idea di non poter usare la moto ed essere sostanzialmente bloccato in questo resort (lo so, sono uno snob). Preparo lo zaino e decido di lasciarlo il giorno dopo entro le 8, cioè quando la polizia sarò in strada. Mi sposto al Packpacker Village, dove mi incontro con Andrea la Svizzera. ma si, quella che avevo seminato a Sa Ky! (ahem)
Siamo entrambi contenti di rivederci e celebriamo con una cena di scampi in una bettola sul lungomare. Il nuovo ostello però è un pacco. Forse sono capitato nel momento sbagliato (a volte capita che non ci sia vita anche in questi posti), ma insomma, l’unica cosa che ricordo è che mi hanno fatto pagare almeno la metà in più rispetto a qualsiasi altro posto dove sono stato a Mui Ne. Quando il giorno dopo mi dicono che devo cambiare letto gli rispondo che preferisco cambiare ostello.

Mi sposto al Mui Ne Hills ed è jackpot! Ci sto credo quattro notti a fare baldoria insieme ad Andrea che nel frattempo è tornata da Dalat e incontriamo una marea di gente, inclusi un gruppo di tedeschi simpatici (oh, esistono!) ed una ragazza di Hong Kong che ha mollato una carriera in architettura per fare gioielli. Passo le giornate a mangiare e spaparanzarmi in spiaggia e le notti a fare festa con gente a caso.

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Mentre cammino sulla spiaggia per digerire l’ennesimo pranzo a base di gamberetti e spaghetti di riso mi offrono una lezione di kite surf gratuita. Partecipo, ringrazio e mentre faccio per proseguire lungo la spiaggia uno dei tipi mi chiede bruscamente «hey, dove vai adesso?». Gli rispondo che voglio solo camminare e che, no, di certo non controllerò le altre scuole di kite surf. Percorro 500 metri e controllo un’altra scuola di kite surf.

Mi rendo conto che i prezzi sono davvero alti rispetto a quanto realmente mi freghi di fare kite surf e chiedo se sia possibile noleggiare una barca a vela tipo Laser. Niente da fare. Ordino una birra e mi trattento a parlare con i due istruttori, un ragazzetto francese che parla vietnamita ed un vietnamita che credo sia il capo della scuola (questo considerando la condiscendenza degli altri nei confronti dei suoi sproloqui).
Spostano un tavolo di plastica sulla sabbia e restiamo lì a chiacchierare e bere fino a quando il cielo non si riempie di stelle. Ad un certo punto uno di loro ricorda che si! c’è una scuola di vela poco prima dell’ingresso del centro abitato!

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Il pomeriggio del giorno dopo vado diretto alla scuola, convinco l’istruttore a noleggiarmi un RS Feva (l’equivalente inglese di un Laser 2000) e passo un’ora a planare sull’oceano zigzagando tra gli allevamenti di pesce. Il vento è così forte da risucchiare la barca controvento ogni volta che stringo la bolina. Dopo un’ora sono stremato, mi tremano le cosce per l’essere stato tutto quel tempo sporto dalla falchetta, ma sono al settimo cielo… erano dieci anni che non andavo in barca a vela.

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La vera Mui Ne è un paese di pescatori sul promontorio più ad est di quella successione di ostelli, alberghi, scuole di kite surf e ristoranti dove passo gran parte del mio tempo in coma alimentare o etilico, a seconda di che ore sono. La visito meglio appena fuori dalla scuola di surf.
Il cosiddetto ‘scenic point‘ è una passeggiata davanti al porto degna di un dipinto impressionista. Uno di quei posti che più li guardi più ti rendi conto di quanto siano belli.
L’ora di vela mi ha fatto venire una fame da lupi. Compro la cena da asporto e la mangio mentre guardo le barche attraccate nella cala. Quando cala la sera sono ancora lì a guardare il panorama. Le piccole luci di posizione dele barche adesso brillano a intermittenza nella notte.

Noto alcune luci all’estremità del villaggio. Google dice che c’è un tempio e mi domanco come sarà la vista da lì. Mi rimetto in sella ed attraverso il villaggio. Le strade si fanno improvvisamente strette e dissestate. Illumino dei ratti grossi come tacchini che al mio passaggio scappano in cerca di un rifugio. Arrivo al tempio e mi accorgo che la vista è deludente… è anche davvero buio qui al riparo dalle luci del villaggio. Cammino lungo la costa e mi stendo sull’erba a guardare il cielo stellato.

Passano un altro paio di giorni. Faccio sistemare la trasmissione della motocicletta, scopro un una manciata di posti nuovi e torno alla scuola di vela dove ormai sono di casa. Potrei stare a Mui Ne indefinitivamente… no, basta, domani parto! Al mattino sistemo lo zaino sulla moto e visito l’ultimo posto della lista: un canyon in miniatura scavato da un torrente che si riversa nell’oceano.

La terra che fa da argine è argillosa e friabile; il fiume l’erode e si tinge di rosso…

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Lungo il percorso ci sono una serie di bettole per mangiare. Mi fermo all’ultima appena oltre una piccola cascata. Prendo una noce di cocco e faccio amicizia con un paio di ragazze tedesche (mi rassegno ad trovarli dappertutto) che mi mostrano le loro macchine fotografiche analogiche e le invito a pranzo alla bettola che mi ha fatto conoscere Andrea. Prima di andarcene faccio un altro paio di foto: una ad un gruppo di bambini che giocano nel torrente, l’altra alla figlia della proprietaria del posto mentre fa finta di ignorarci aggrappata alla grata di una finestra.

kids playing bambini che giocano fairy stream Mui Ne Vietnam Viet Nam backpacking zaino in spalla explore exploring adventure avventura travelling travel south east asia southeast south east

bambina girl portrait window ritratto finestra grata Mui Ne Vietnam Viet Nam backpacking zaino in spalla explore exploring adventure avventura travelling travel south east asia southeast south east

Mangio con le tedesche, perdiamo tempo e… niente, si resta fino a domani. Torno al mio ostello e mi dicono che stanotte sono al completo! Ma porc… Mui Ne Hill da questo non me l’aspettavo! L’ostello delle tedesche ha una singola libera all’equivalente 15 euro e li vale tutti. Peraltro su Agoda (un agguerrito concorrente di Hostelworld in Vietnam) la danno scontata, ma non riesco a prenotare senza l’app che non ho scaricato. Provo a collegarmi dove capita, ma non ci riesco proprio. Arrivo alla reception e…

« quanto costa la singola? »
« salve, [l’equvalente di] quindici euro »
« mhh, ma su Agoda la posso prenotare per dieci! » e mostro il mio cellulare.
Il proprietario mi guarda interdetto « e allora prenotala su Agoda… »
« si? ma Agoda poi prende la percentuale da te… cioè, io i dieci euro preferisco darli a te, così hai più guadagno »

Si, ho la faccia come il culo, comunque il tipo ci casca e mi da la singola a dieci euro: letto doppio e bagno privato. Esco di nuovo a fare serata e finisco a fare il bagno di notte, nudo e circondato dal plancton bioluminescente.

E questa è la metà di quello che fatto a Mui Ne.

 
LIBRO DEL GIORNO: 4 3 2 1, di Paul Auster

Dalat > Mũi Né

Con la discesa da Dalat verso Mũi Né mi sono definitavemente conto di quanto l’Hai Van Pass sia sopravvalutato. Carino, eh, ma scalare Dalat da Nha Trang e poi correre di nuovo a valle verso sud è ad un altro livello. Tutta colpa del Top Gear Special.

A Dalat non ho potuto fare un granché a parte rifugiarmi in montagna contro il tifone, che nel frattempo è arrivato a Nha Trang. Quando è passato sopra Dalat, Venerdì notte, ero a letto, da solo nella camerata da quattro a guardare la seconda stagione di Stranger Things. Non fa una piega.

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L’ostello a Dalat è praticamente occupato dagli amici del bartender. Gli pago le birre che prendo dal frigo mentre lui gioca al computer. Abbiamo passato un po’ di tempo insieme e devo dire che si sono davvero riforniti preparati per stare al chiuso, al riparo dal tifone. Sono ragazzi.

Ma scopriamo cos’è successo a chi ha invece deciso di partire…

I had the craziest ride of my life yesterday! Slid, in the mud, hit a falling tree on the road, got chased by dogs when I was struggling to get out of the branches… rode along a pass in dark through pouring rain, then also had a road with potholes to half a meter deep, drove over a crippling bridge… with loose and missing planks… nobody on the road and I damn f*cking enjoyed it like never before!!!
It was fun singing om my moterbike in the pouring rain in the dark, and no one hearing you. Damn, when I saw that tree suddenly in front of me, I was like riding 40, had to hit the brakes hard, managed to keep the bike straight but still slammed full on in the branches…
I’m ok though, but the more i think of it, the more i loved it! Haha

— Chistophe

L’unica cosa che ho visto di Dalat sono state le cascate di Pongour, a 50 km di distanza, quando avevo già lasciato la città. A dir la verità, avevo voglia solo di arrivare al mare e spaparanzarmi al Sole, ma dopo tutta questa strada e giorni passati in ostello almeno una cosa dovevo vederla! Snobbo le cascate dell’Elefante, che mi sembrano piuttosto normali e arrivo a quelle di Pongour, dove l’acqua batte su una serie di massi neri a gradoni.

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Dopo nemmeno un’ora sono di nuovo in strada. Scavalco la montagna e un paesaggio spettacolare si apre davanti a me, vasto, pesante e carico di pioggia. Ah, Dalat, quanti regali che mi fai…

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Mentre scatto alcune fotografie, incontro un paio di altri backpacker in moto, appena comprata a Saigon e scopro che le moto costano molto di più che ad Hanoi, dove l’ho comprata io. Honda Kerouac, verrai dovutamente ceduta a caro prezzo.

La moto però adesso è ancora mia. Comincio la discesa tutte curve e gioco a fare il rally, supero furgoncini e bus (cosa da fare comunque, a meno che non vi piaccia respirarne gli scarichi, subirne la polvere e rischiare di essere colpiti da un sasso scalciato dai copertoni).

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La moto va che è una belva. La velocità è comunque relativa… con tutte queste curve, a parte qualche sporadico rettilineo, non si può andare nemmeno a 40 all’ora.

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Arrivo a valle dopo forse un paio d’ore di guida spavalda ed eccitante. Mi lascio le montagne sullo sfondo mentre attraverso la pianura. Le indico e scandisco fieramente « montagne, siete state conquistate. ».

È la stanchezza.

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Incrocio Jimm e Isabelle, che il giro se lo stanno facendo in bicicletta! Un po’ li invidio per il non avere il rumore della moto tutto il tempo, ma quando li vedo paonazzi e sudati ci ripenso.

« Ci vediamo a Mui Ne » Gli dico.

Do gas, me li perdo alle spalle e, si… un po’ m’è piaciuto.

 

 

CANZONE DEL GIORNO: Booker T – Time is tight

Nha Trang > Dalat

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Il ciccio australiano mi ha consigliato di prendere la QL27C da Nha Trang per Dalat. Una strada perfettamente asfaltata e senza vie d’uscita. Per 120 chilometri.
All’inizio sono effettivamente un po’ titubante: praticamente ci solo soltanto io a percorrerla, ma non mi va di tornare indietro e perdere i chilometri già fatti.
Dopo un po’ però a strada si restringe. Gradualmente, diventa più sinuosa e circondata da più vegetazione e tunnel alberati. Nel giro di forse un’ora prende a snodarsi in salita su per le montagne fino ad arrivare in quota alle nuvole. Un paesaggio del Vietnam decisamente inaspettato.

Grazie di cuore ciccio australiano.

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Per la prima volta incrocio altri backpacker in motocicletta, che viaggiano in senso opposto al mio. Ci accenniamo un saluto sollevando un paio di dita, poi passiamo oltre, ognuno nella propria direzione.

Insieme alla quota, aumenta anche la percezione del freddo. Ho la pelle d’oca alle braccia e un gelo che mi sale su per la schiena. Osteria ragazzi, che arietta che tira.
Mi fermo, libero il bagaglio dalle cinghie e indosso i pantaloni lunghi e le scarpe. Oh, quanto vorrei non aver dimenticato il maglione a Bangkok!

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Il paesaggio diventa sempre più imponente…

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poi spettrale….

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…fino a quando non si vede davvero più niente. Ogni curva è un salto nel buio, Le nuvole si sono trasformate in nebbia, aqua nebulizzata che mi si appiccica addosso e mi fa prendere un accidente alla schiena.

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Percorro la strada stando quanto più possibile sul ciglio e a velocità ridotta, forse più preoccupato dei mezzi che possono raggiungermi da dietro che quelli che ho contro. Subito prima di una curva segnalata un camion sbuca all’improvviso dalla nebbia e mi rendo conto che con il mio fanale da quattro soldi sono praticamente invisibile.

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Sbuco dall’altra parte della montagna, che adesso non può più ostruire il Sole. La nebbia si ritramuta in nuvole, che si staccano dalla montagna come fumo di un incendio invisibile.

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Comincio la discesa, congelato e sbalordito, come un ragazzino appena fuori dalla giostra del Conte Dracula al Luna park. Dalla distanza, confondo un numero di gente locale per backpacker e solo perché hanno anche loro una Honda Win, la moto preferita in tutte le montagne del Vietnam, insieme alla meno rispettata Minsk di fabbricazione russa.

Adesso il paesaggio è più accogliente: attraverso un piccolo lago, nel pieno di una valle terra rossa ed alberi di Pino. La temperatura torna a salire, ma ormai non più calda come alla partenza.

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Ad un’ora dall’arrivo, con la scusa di bere un caffè, mi fermo per scaldarmi un po’. Entro nella bettola di turno, uno stanzone fatiscente senza nemmeno l’intonaco. Il posto sembra deserto, ma la televisione è accesa, così gironzolo a vuoto scandendo un ‘hallo?’ di tanto in tanto. All’improvviso, dall’amaca al centro della stanza si solleva la testa di una giovane donna, con un neonato al grembo. Le faccio cenno di non scomodarsi, ma lei comincia a chiamare ad alta voce qualcuno dal retro. Il neonato non si sveglia nemmeno.
Un minuto dopo, una signora oltrepassa le tendine dietro il bancone e mi interroga con lo sguardo.

« ca phe? »

Si, signora ca phe, caffè, coffee, basta che sia caldo e ci sia un po’ zucchero dentro. Mi siedo su uno sgabello basso e mi sfrego le mani addosso nel tentativo di riscaldarmi. Sto quasi ritemprandomi quando scatto al pensiero… I vietnamiti di solito bevono il caffè con l’aggiunta di cubetti di ghiaccio; ho dimenticato di dire alla signora che io lo voglio caldo, anzi bollente! Lei però è di nuovo nel retrobottega e col cavolo che voglio interagire di nuovo con la figlia. Va bene, mi accontenterò dello zucchero.

vietnamese coffee caffè ca phe den da sua nong sua da culture viet nam explore exploring

Dopo qualche minuto la signora torna nello stanzone, stavolta col vassoio in mano e qui mi accorgo della prima piccola differenza col Vietnam delle pianure e delle coste: il caffè qui lo servono liscio, awww…

Raccolgo tra le mani la caraffa del the caldo (in Vietnam servito sempre insieme al caffè), mentre il l’acqua filtra attraverso il macinato e macchia con gocce scure il latte condensato sul fondo del bicchiere.

Sono davvero stremato.

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Tiro fuori il mio taccuino e faccio un paio di conti… con tutte quelle salite in terza la moto s’è bevuta 1 litro di benzina ogni 28 chilometri contro i 42 km/l percorrendo la costa in relativa pianura. Penso un attimo al percorso della giornata, le cascate a picco di crepacci lungo la strada, i paesaggi sterminati, la fitta nebbia che mi ha caricato di adrenalina… ma si che ne è valso la pena, che strada da paura!

 

 
CANZONE DEL GIORNO: Paul Simon – God bless the absentee

Da Dia Reef (Qui Nhơn > Tuy Hòa)

L’ostello/resort è a sud di Qui Nhơn, ma prima di partire ho bisogno di fare benzina e, soprattutto, una colazione decente. Torno sui miei passi e do un’altra occasione a questa piccola città di regalarmi qualcosa.

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Mangio in una bettola a caso, l’immancabile Pho Bo, poi ordino un caffè. La signora mi dice che non lo serve e che devo andare al bar di fronte. Questo capita così spesso che chiedere un caffè equivale quasi sempre a chiedere indicazioni.
Il “bar di fronte” è nascosto in un cortile al riparo dalla strada. Un gruppo sta giocando all’ennesimo gioco a carte che non riesco a capire. Una signora senza denti mi si siede vicino e mi sorride*, poi prende la racchetta elettrica e ammazza qualche zanzara. Torna a sedersi vicino a me ed indica il ventilatore, vuole che lo accenda per me. Chissà, forse per i vietnamiti è così fondamentale che pensano che siamo un po’ tonti a tenerlo spento. Un brivido mi corre lungo la schiena sudata, roba da crampi. Lo spengo e torno al mio caffè.
Mi accendo una sigaretta. Faccio un cenno al proprietario del bar. Gli chiedo un posacenere e lui mi indica il pavimento.

Qui Nhơn non è il posto migliore per bere il caffè. Quasi tutti servono una specie di frappé schiumoso che per carità la schiuma, ma la poesia del caffè che lentamente gocciola e sporca il latte condensato si perde senza guadagnarci niente in cambio. È il marketing.

Non posso partire senza prima bere un caffè decente. Vado allora in una specie di bar-fattoria, appena fuori dal centro abitato, coi polli, le zanzare tigre ed una signora antipaticissima che serve il caffè migliore nel raggio di 10 chilometri. È proprio ora di partire.

Guido per un paio d’ore senza fermarmi fino a Da Dia, una scogliera fatta di rocce esagonali, un po’ come quelle che ci sono in Irlanda. Me le ha consigliate Andrea-dalla-svizzera, tramite una sua anonima amica vietnamita.

Grazie anonima vietnamita.

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Per raggiungere la scogliera bisogna guidare per una quarantina di minuti attraverso una serie di borghi, lungo una strada piena di buche (più tardi scoprirò di essermi perso questo ponte da paura, nooo!). Col cavolo che vedrei questo posto se non avessi la motocicletta! All’arrivo un gruppetto di ragazzini mi circonda e mi regala un paio di conchiglie prese dalle loro ceste.

« No money, no money » mi ripetono.

Appena ne prendo una più carina, però, ecco che il più sveglio dei tre mi chiede dei soldi, qualcosa come venti centesimi d’Euro. Ah canaglia! Glieli do, sorprendendo gli altri ragazzini, che adesso pensano che avrebbero potuto guadagnarci qualcosa anche loro.
Mi mostrano altre conchiglie, ma è tardi e me ne devo andare! Il Sole è già basso sull’orizzonte ed ho un boato di strada ancora da percorrere.

Entro nel parco, butto le conchiglie gratis, quindi bruttine, ed arrivo alla scogliera.

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C’è un po’ di gente, ma non troppa, solo che sono tutti così impegnati a farsi i selfie e me ne trovo sempre uno davanti. Una ragazza mi si mette vicino e si fa una foto con me. boh, ok. Mi giro e c’è una ragazza con una reflex che fa foto all’amica. C’è persino una coppia di sposi che aspetta annoiata che gli altri se ne vadano per farsi la foto sdolcinata del bacio sulla scogliera con tanto di velo da sposa al vento. L’assistente del fotografo lo lancerà in aria prima di ogni scatto.

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Mentre vado via scopro una biforcazione lungo il sentiero. Porta verso il lato più esposto della scogliera e la parte più bella del parco…

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Torno al parcheggio. I ragazzini sono ancora lì e stavolta sono davvero una seccatura. Hanno adocchiato le lanterne che ho comprato a Hoi An, legate dietro la moto, ed insistono che apra. Faccio partire la moto mentre loro ancora provano a convincermi e torno alla mia bella strada piena di buche.

Dovrei tornare alla strada principale, per poter andare veloce e recuperare tempo, ma sono in vacanza ed ormai è tardi comunque. Alla prima occasione svolto verso sud e continuo lungo strade terrose. Percorro forse un chilometro che un percorso stretto tra campi di riso mi invoglia all’ennesimo off-road… praticamente un off-road dell’off-road.

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Spavento un gruppo di papere che scappano urlando (‘quaaack! quuuaaaaaack!’) e faccio l’ennesima foto: natura morta con Honda Kerouac… mi ci sto affezzionando troppo!

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Basta, me ne devo andare da qui altrimenti non arrivo più, potrei passare anche mezz’ora a contemplare il campo di riso coi bisonti che ci pascolano sopra. Mi rimetto in sella deciso a recuperare quanta più strada possibile. cinque chilometri più avanti attraverso un ponte, sospeso tra un tramonto ed un istmo in lontananza a ridosso dell’oceano. e c’è uno strano suono nell’aria, come se ci fosse un minareto da qualche parte con il megafono rotto che inonda lo spazio con un suono denso e costante. Mi fermo di nuovo e lascio che mi faccio pervadere da quest’atmosfera irreale.

Un motorino mi scorre davanti ricordandomi del mio proposito di non viaggiare dopo il tramonto, ma non posso semplicemente andarmene adesso; voglio esplorare questo posto. Subito dopo il ponte imbocco una strada che scende lungo lo specchio d’acqua, lì dove sono attraccate le barche dei pescatori.

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Il tempo di scattare qualche foto ed un gruppo di bambini usciti dalla scuola mi circonda. Io sorrido, dico ciao in vietnamita e loro rispondono in coro… fine del repertorio. Io ed il maestro, un signore pacifico in piedi dietro i bambini, ci scambiamo un’occhiata sul da farsi. Sollevo le spalle, saluto la classe e riparto.

Devo essermi confuso con la mappa, perché mentre cerco di tirare dritto un ragazzo si sbraccia per dirmi di tornare indietro, che la strada è un vicolo cieco. Torno allora al ponte imbocco di nuovo una strada secondaria… l’ennesima deviazione, perché ormai è tardi comunque.

Sbaglio strada e sono di nuovo in un vicolo cieco, ma davanti al mare stavolta. Parcheggio la moto mentre un paio di famiglie sparse lungo lo spiazzo mi osserva da lontano e cammino verso la spiaggia. Il tempo è troppo brutto per godersela, ci sono giusto un mucchio di ‘barche a cesta’ (basket boat), tipicamente vietnamite, ma a dirla tutta anche abbastanza simili alle Coracle gallesi.

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Mi rimetto in sella lungo la strada che comincia adesso a restringersi sempre di più, fino a diventare qualcosa come nemmeno due metri sabbiosi… troppo sabbiosi! Devo procedere a passo d’uomo coi piedi pronti ad appoggiarsi a terra, semmai dovessi cadere. Scavalco un mucchio di sabbia più alto ed ecco che la moto mi scivola da un lato. Riesco a restare in piedi per miracolo, guardo avanti e mi scambio un “wow!” eccitato con un tizio che per caso mi stava camminando contro per andare chissà dove. Siamo entrambi sorpresi che non sia finito col sedere a terra.

La deviazione si immette sulla strada che proseguiva dal ponte e poi finalmente di nuovo sulla strada principale: asfalto.

Noioso, noiosissimo asfalto.

 

 

CANZONE DEL GIORNO: Burning Leaves, Matthew Austin

Ca phe sua da

Mi basta pensare a cosa ho fatto o dov’ero già solo uno o due giorni fa per vivere la sensazione di un ricordo remoto. Ero sull’isola di Ly Son quando, ieri? …stamattina?! Mi sono svegliato alle 6:30a per prendere il primo traghetto e non dover viaggiare di nuovo di notte e stavolta ci sono anche riuscito.

Sa Ky port boat boats cyan turquise turchese wooden battelli fisherman fishermen's fishermen pescatori rimorchi

La moto va che è una meraviglia (beh, relativamente parlando) ed il meccanico di oggi, un ragazzetto introverso che non gli daresti due lire, mi ha persino aggiustato il contachilometri. Non che queste riparazioni servano davvero… e che mi piace andare dal meccanico ed imparare qualcosa di più su com’è fatta e funziona una motocicletta. Mi ci sto appassionando.

Mentre il meccanico sparisce per raccattare non so che pezzo di ricambio io faccio un video al povero uccello che tiene prigioniero in una gabbia dell’officina.

Con una pessima scusa ho seminato la svizzera che viaggiava con me, così sono di nuovo per i fatti miei, come piace a me. Prima di lasciarci mi ha consigliato un po’ di posti interessanti come quello dove sono ora: Bãi Xép, in un mini-resort in riva al mare che solo che penso che pago tipo € 5 per notte…

Il tempo e compresso, dilatato, compromesso. A volte giorni, settimane o (quando ci va proprio male) mesi interi passano così, senza lasciare traccia alcuna e poi, in situazioni come quella di questo viaggio ogni giorno è invece un’esperienza unica, indipendente da quella del giorno prima o di quello a seguire.

Giusto ieri ero sulla spiaggia di Hang Câu quando una signora si è avvicinata per raccogliere i nostri rifiuti. Già solo questo sarebbe un evento di per se, dato che la stragrande maggioranza dei vietnamiti i rifiuti in spiaggia ce li porta, ma come al solito sto divagando. La signora aveva una voce leggera, morbida e gentile. Un suono a metà tra la pace interiore e la sconfitta. Vuole provare gli occhiali rotti della svizzera. Mentre lei glieli lasciava indossare io le ho scattato di nascosto un paio di fotografie.

anziana signora spiaggia Hang Cau vietnam

anziana signora spiaggia Hang Cau vietnam

anziana signora spiaggia Hang Cau vietnam

Il viaggio di ritorno da Ly Son è stato abbastanza tranquillo; nulla a che vedere con le montagne russe dell’andata. Tornati al porto di Sa Ky, come già detto, ho ripreso la corsa da solo, fermandomi prima per delle riparazioni alla motocicletta e poi a cambiare l’olio. Passo attraverso un paio di città trafficate e stressanti, poi percorro un’autostrada alquanto monotona e con deviazioni strane per restare sulla QL1A. Mi sento un po’ in colpa per aver lasciato Andrea da sola, ma ormai è fatta.

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Dopo un po’ di tempo trascorso in rettilineo ecco che tornano i campi di riso ed i bufali al pascolo. Ogni bisonte ha al seguito quelle che sembrano cicogne. A quanto pare mangiano gli avanzi che cadono dalla bocca del bisonte, ma non ne sono sicuro.

Più avanti mi imbatto in un tratto di strada i cui bordi sono coperti da strisce colorate. Sono li a seccare prima di essere intrecciate per farne tappeti.

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Le strisce non sono l’unica cosa lasciata a seccare al sole… di fronte alla baracca di lato alle strisce ci sono una serie di pannelli di vimini con una specie di pane duro appicciato sopra. Entro nella baracca con la scusa di comprare dell’acqua e cerco di capire che roba è quella. Il traduttore sul cellulare non funziona un granché; ci metto un po’ di tempo a farmi capire.

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Mi mostrano il contenuto di una grossa pentola dove fanno sciogliere la polpa della noce di cocco e mi fanno assaggiare del pane che è tutto fuorché croccante! Mi si appiccica ai denti, ha un sapore scialbo. Mi porgono una busta con delle forme confezionate, ma faccio cenno di no, mi va bene l’acqua. Mi rimetto in sella e continuo la corsa per Bai Xep.

Non passa molto tempo che raggiungo e supero un tizio in motocicletta che trasporta una quantità assurda di banane. Tiro dritto per un minuto ridendo, poi faccio inversione… devo assolutamente fotografarlo! Lo vedo che svolta in una strada laterale. Lo seguo e quando finalmente lo raggiungo la moto è già parcheggiata:

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Infilo la reflex nello zaino e continuo fino al centro abitato successivo. Qui google maps mi dice di svoltare a destra, percorrere qualcosa come quattro isolati e poi di nuovo verso la strada di prima… me ne accorgo quando ho già svoltato.

Grazie Google maps.

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PAROLA DEL GIORNO (VN): Cà phê sữa đá (caffé freddo vietnamita con latte condensato e ghiaccio)

Lý Son

Il vietnamita è una lingua tonale. Quella che per noi è solo una sillaba (o parola), in base a come la si pronuncia (secca, lunga, ecc.) questa avrà per loro un significato differente.

« Vô! » dico sollevando il mio bicchiere (al tavolo vicino al nostro del ristorante dove abbiamo appena cenato) pronunciando la “o” monotona e poi subito in salita. Un attimo fa, uno dei tizi del tavolo si è avvicinato e mi ha versato un po’ di birra, così ci siamo spostati al loro per un brindisi.

« Vô! » ripeto ad alta voce e tutti alzano il bicchiere divertiti.

Loro dicono “salute” in un altro modo, ma ce lo siamo già dimenticati, così usiamo la traduzione di google translator (indispensabile sull’isola) e tutti ridono di gusto. “Vô” va bene.

Mi sono appena mangiato un’aragosta per poco più di dieci euro, uccisa e fatta alla griglia per me. Non è moralmente appagante indicare l’animale vivo che si vuole mangiare, ma… tu, aragosta, sei stata deliziosa. Ti ho pure spento la sigaretta del dopo pasto sulla corazza, perché i soldi non comprano tutto, ma di certo la tua vita.

Siamo sull’isola di Lý Son, a un’ora e mezza dalla terraferma. Un viaggio su onde di forse un paio di metri, roba che dopo mezz’ora vomitavano tutti. La barca imbarcava acqua dalle porte laterali, rollava, beccheggiava e la gente dormiva, poi si svegliava e vomitava nelle buste di plastica, fornite dall’addetto alle buste di plastica. Un televisore gigante provava ad intrattenere con un talent show di musica vietnamita sdolcinata, ma l’audience vietnamita era troppo impegnata con le buste di plastica per esserne rapita. C’è una prima volta per tutti.

L’isola di Lý Son è famosa per l’aglio, una varietà speciale coltivata nella sabbia bianca dell’isola, circondata da palme nere. Un’ora dopo essere approdati (insomma appena guariti dal mal di mare) siamo andati in cima al… cratere? di Thới Lới al tramonto per scoprire l’isola dall’altro: un paesaggio saturo di colori in lontananza (rubo una frase di Guccin) e campi d’aglio a non finire.

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Di fronte al porto, le tizie alle bancarelle del mercato (ma sono sempre donne!) ci fanno sentire come i primi occidentali a visitare l’isola… che a giudicare dalla completa incapacità di parlare inglese non è poi un’affermazione poi così lontana dalla dalla realtà. Lý Son si sta ancora adattando al turismo, lo si intuisce anche dai prezzi: 30k dong per farti riparare la motocicletta ti fa venir voglia di romperla intenzionalmente.

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Anche travelfish (sito dalla quale sto ultimamente sviluppando una dipendenza) segnala la transizione verso il turismo. Segnala anche la presenza di montagne di spazzatura sulle spiagge, perché se c’è un problema in Vietnam, è proprio l’insensibilità dei locali verso il concetto di smaltimento. Persino le spiagge nella baia di Ha Long sono invase da monnezza di tutti i tipi, dalle reti dei pescatori alle scarpe di plastica. Si butta tutto a mare, che di suo riversa tutto sulla costa e addio turismo.

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Ad ogni modo, pare che l’isola di An Binh abbia le spiaggie migliori. Vorremmo andare li e dormire in spiaggia (c’è un camping), ma l’ufficiale della capitaneria ci dice (google translator) che non ci sono barche per via delle onde e del vento forte. Non faccio in tempo a bestemmiare che comincia a piovere di brutto. Che le due cose siano collegate?

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Spiaggia o non spiaggia qui si mangia pesce e frutti di mare come fossero caramelle. Ci consigliano (google translator) un ristorante e la proprietaria passa una ventina di minuti con noi a dirci (google translator) prezzi e cosa ha e non ha in cucina per noi.
Ogni volta che vuole dire di no porta una mano all’altezza della tempia e la agita aperta. Significa no in vietnamita… dalle mie parti significa che sei un po’ schizzato. Attenzione che il gesto genera dipendenza. Adesso ogni volta che non voglio qualcosa agito la mano anch’io (e mi lasciano stare all’istante!).

Insomma, scorpacciata di gamberetti alla griglia, con una marinatura che non vi dico. Ci facciamo portare anche una specie di pane carasau di riso che non ho ancora capito come si chiama.

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Il jackpot lo si fa il giorno dopo, in un ristorantino davanti al molo. Vasche piene di pesci e crostacei vivi, come lo sproporzionato granchio Huynh De, o un altro dalle chele blu che non so ancora cos’è ma ti mangio comunque.

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PAROLA DEL GIORNO (VN): cơm (riso)

Hai Van Pass

Non è una bella sensazione vedere mani inesperte smontare selvaggiamente la tua motocicletta, che già non sta bene insieme da sola. Mi sgonfiano la ruota posteriore, svitano quella davanti, via gli specchietti e bam, infilata con forza nel vano bagagli dell’autobus notturno.
Dieci ore da Ninh Binh fino a Hué, perché me la sono presa troppo comoda nel Vietnam del Nord ed ho un po’ di fretta adesso. Insomma, voglio aprire google maps e vedere la mia posizione lampeggiare decisamente più a sud. Questo dovrebbe essere sufficiente per restituirmi un po’ di serenità.

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Arriviamo a Hué intorno alle 6a. La ragazza svizzera che viaggia con me al momento non lo sa che cosa hanno fatto alla sua motocicletta. Glielo dico qualche minuto prima di arrivare e lei la prende anche piuttosto bene. Ad ogni modo ce le rimontano piuttosto decentemente, a parte dimenticarsi il bullone del perno della ruota anteriore… che non è una bella cosa.

Mentre il meccanico ce le revisiona e mi cambia l’ennesimo pezzo (il freno stavolta) mangiamo un Pho Bo (la colazione vietnamita più popolare) in una bettola proprio di fronte all’officina.

Mi piace mangiare nelle bettole, come se la sporcizia fosse sinonimo di qualità. Ormai non conto più le volte in cui alla domanda « dov’è il bagno? » il volto del povero vietnamita di turno si è riempito di imbarazzo.

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In una bettola di Hanoi, a due passi da dove ho comprato la moto, ho assistito ad un battibecco tra una donna che mi stava indicando il bagno sconsolata e un’altra che probabilmente la stava rimproverando perché non doveva lasciarmelo usare… Io volevo solo fare la pipi. Quando la porta sul retro si aprì, capii il perché del teatrino. Il corridoio non illuminato che portava al gabinetto era allagato di acqua piovana, sporca e terrosa. Un 20-25 cm di acqua per la precisione.
« Oh… » dico tra me e me, mentre una di loro mi passa gli stivali di gomma.

Il cibo era ottimo.

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Facciamo un salto ad un parco acquatico abbandonato (…è ok.) e poi verso il passaggio di Hai Van (“Hai Van Pass”): una strada che si snoda lungo montagne alberate di fronte al mar cinese meridionale.

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Le uniche informazioni che trovo on-line indicano il punto più alto lungo il percorso, ma non come arrivarci partendo da Hué. Immagino che gran parte dei motociclisti prenda la QL1A, ma fintanto che macchine e TIR spariscano nel tunnel all’inizio del Passaggio (dove le strade si dividono) non sembra proprio un bel tragitto. Un’altra strada, la QL49B, passa attraverso una striscia di terra abitata, compressa tra il mare (l’oceano pacifico!) e quelli che dalla mappa potrebbero essere campi di riso.

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Al momento la strada non è un granché, ma ci immettiamo in un lungo rettilineo circondato da campi di riso ampi e luminosi.

Comincia a piovere.

merda merda merda, che facciamo? La svizzera non ce l’ha il poncho, ma mannaggia alla pupazza… le do il mio poncho di riserva: una busta di plastica gigante (chiunque lo indossi sembra un grande preservativo). Smette di piovere dopo qualche minuto e ci infiliamo nel primo posto che troviamo, una specie di bar su delle palafitte.

« Birretta? »

Una delle migliori decisioni della giornata. Il “Bar” è un ristorante fichissimo. Sul retro della grande sala all’ingresso ci sono un buon numero di cabine, raggiungibili tramite passerelle. Alle prime birre segue un piatto di noodles con polpa di granchio, poi direttamente un granchio bollito. Il cameriere ci porta due granchi vivi, che cercano di scappare appena posati a terra. Il più grosso, forse 25 cm da chela a chela, costa 330.000 dong (€12.5). Un’abbuffata. Il granchio si può mangiare quasi per intero, a parte le branchie (eww) e un altro paio di organi. Il cameriere resta vicino al tavolo tutto il tempo, divertito. Ci indica una cosa schifosa dentro il guscio che sembra catarro. L’assaggiamo, ma ha un sapore troppo intenso e salato. No, grazie, ma lui continua ad indicarlo. Gli faccio capire che non ci piace e lui non capisce il perché.

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Piove ancora un po’, il che è davvero piacevole, dato che siamo al coperto. Prendo le carte da scopa dallo zaino ed insegno il gioco alla svizzera (Andrea).
« Con questo gioco si distruggono amicizie » le dico.
Impara subitissimo… anche a schioccare la carta sul tavolo quando fa scopa. Perdo miserabilemente due partite, poi riprendiamo la corsa in moto. In cinque minuti siamo al ponte che collega la terraferma ad una striscia di terra lunga 20-30 chilometri, ma ricomincia a piovere, alchè propongo:

«Caffettino? »

Restiamo bloccati per un’altra mezz’ora. Giusto il tempo di battezzare la mia motocicletta con lo spray ed uno stencil (questa è per te Jack) e ricominciamo la corsa. Siamo fuori tempo massimo, ci toccherà viaggiare dopo il tramonto per arrivare a Hoi An.

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La strada QL49B è commovente. No, davvero, voglio piangere. Ovunque mi giri ci sono composizioni e particolari tutti da fotografare. Così tanti dettagli, colori, sensazioni che doveri percorrerla tutta a piedi per darle il giusto tempo (che non ho). Bufali che si crollano l’acqua di dosso, cani, polli, portici improvvisati degni di figurare su ELLE Decor, gente che canta al karaoke, bambini che ci salutano, cimiteri monumentali… voglio vivere qui per almeno un mese, ma come si fa?
Guidando, mi abbandono rumorosamente a gemiti di dolore…

HA… AHH… HAAHHHH!!!

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Dopo oltre mezz’ora un bivio ci porterebbe sulla strada principale, la QL1A, ma col cavolo che svoltiamo. Tiriamo dritti fino a quello che sulla mappa sembra un ponte (non si può sapere per certo in questo Paese). La strada diventa un sentiero più o meno fangoso, migliora, peggiora… lavori in corso, rischio un incidente e… il ponte esiste!

E come se tutto questo non fosse sufficiente, il passaggio di Hai Van lo dobbiamo ancora cominciare <3 img_5440-photomerge-web

Incrociamo la strada principale che incanala tutti i mezzi pesanti nel tunnel di Hai Van, lasciando la nostra strada libera dal traffico.
Forziamo le motociclette a pendenze dell’8%, in terza, mentre saliamo per la montagna attraverso un numero succulento di curve. Cambia la luce, gli odori… la temperatura.
A tratti, la strada ricorda quella vero la foresta Umbra, nel Gargano, ma molto più umida. Le nuvole scavalcano pesanti le vette delle montagne prima di riversarsi in basso verso di noi.

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Ok, è arrivato di nuovo il momento in cui non ne posso più di scrivere (e quanto ce ne sarebbe ancora!). Posto una foto della mia nuova compagna di viaggio in viaggio e il percorso di questa splendida corsa in motocicletta.

Au revoir!

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CANZONE DEL GIORNO: Regal – The Candidate (Sol Days Interlude) [feat. Ray Mann]